Effetto Luce (crepuscolare)

In un preciso momento dell'ascolto di questa raccolta semi-antologica mi sono ricordato di un bellissimo approfondimento monografico su Fabrizio de André ("Raccontando De André" RAI 1): intervistato sul grande Cantautore genovese, il collega Franco Battiato faceva acutamente notare come, all'ascolto di uno dei primi dischi (quando "la distribuzione era praticamente carbonara") pur affrontando temi estremamente duri e scabrosi e nella tristezza a tratti disperata e disperante delle storie che raccontava, "mi colpì la sua voce perchè era al tempo stesso infinitamente consolatoria".

Dico questo perché ascoltando ripetutamente questo "Lotus", mi è balzato a un certo punto improvvisamente all'attenzione un parallelismo, apparentemente molto lontano, sicuramente discutibile, ma che sento come molto forte, a livello epidermico: Elisa Toffoli ha, nel suo stile di canto, nella sua voce, in queste canzoni così duttile, dolce ora remissivo e ora risoluto e deciso, quasi una carezza, quasi un che di materno, lo stesso potere consolatorio che (non è casuale) risalta maggiormente proprio laddove i temi sono più tristi e malinconici, le musiche più pacate e contemplative, risalta con la massima evidenza quasi una qualità inaspettata messa a nudo in questo lavoro meditativo, pennellato su sonorità pianistiche ed elettro-acustiche, e svela tra l'altro quello che potrebbe essere il più autentico potenziale che questa splendida interprete di Monfalcone riserva in modo tutt'altro che in-consapevole. Personalità tutt'altro che fragile, artista dalla versatilità fuori questione, capace di passare dalla potenza del rock/pop americano più classico ("Cure Me", "Heaven Of Hell") al pop più tradizionale di "Stay" a prove più sperimentali ("Luce - Tramonti a Nord Est") all'inevitabile confronto con la pop-song italiana ("Un Senso di Te"). Se Elisa riesce ad essere credibile in tutto ciò che esprime musicalmente, tra piano bar e palcoscenici di eventi rock, se riesce a risultare coerente attraverso la varietà degli stili e dei generi che attraversa, non è solo per il cantato: è perché qui si racchiude la personalità di un'artista che "sa il fatto suo". Ecco tra l'altro dove (mi sembra di capire) risiede il senso del paragone a Bjork.

Il lavoro, coprposo, si articola in tre tipi di esecuzioni: cover (tre sull'album, altre due sul singolo apripista "Broken", in tutto cinque), riletture di (otto) cazoni precedenti in chiave "unplugged", e (sei) tracce inedite. Le covers di "Hallelujah" di Leonard Cohen (in omaggio a Jeff Buckley), e "Femme Fatale" dei Velvet Underground - Nico, incluse nell'album sono praticamente ineccepibili, e conferiscono il tono umorale dell'intero lavoro: un disco autoriflessivo, pacato e autunnale. Tra i brani nuovi, oltre alla citata "Broken" (cavalcata elettro-acustica), "Interlude" (uno dei testi più belli) e "A Prayer" (lo stesso livello lirico, che chiude il cerchio aperto con il ringraziamento di Cohen), "Electricity" (bellissima) spicca soprattutto "Yashal" (impossibile non emozionarsi di fronte a un simile livello poetico, uno dei gioielli assoluti della raccolta) e "Beautiful Night" (ambientale e in linea con le precedenti). Tra le riletture, invece non tutto convince: su tutte "Luce (Tramonti a Nord-Est)", rallentata e pianistica è la migliore. Tornando alle covers, "Almeno Tu Nell'Universo" di Mia Martini suscita qualche perplessità, per la lontananza palbabile dall'originale (Elisa non arriva ai livelli di potenza vocale di Mia Martini, ma dribbla i passaggi più ardui con vocalizzi personali), mentre dispiace che delle altre due covers "(Sittin' on) The Dock Of The Bay" di Steve Copper e Otis Redding e "Redemption Song" di Bob Marley manchi la seconda (indescrivibile, al pianoforte dal vivo il Primo Maggio fu un momento incantevole).

Non so se riuscirà a raggiungere un'amalgama di tutte le componenti, né se ciò sia possibile (intimismo, duttilità vocale e forza espressiva, pianoforte, rock, arrangiamenti sperimentali, occasionali incontri en-passant con l'elettronica), ma (lo dico ancora, importandomi dell'eventuale irritazione assai poco) il problema è sempre lo stesso e si chiama "Caterina Caselli - Sugar Records": ovvero il limite oltre il quale non si può andare, la produzione "indie" con le dimensioni (e il peso) della Major. La tesi che già ho enunciato è che dopo Lucio Battisti (anello di congiunzione tra i Beatles e la Canzone Italiana), e Mia Martini ("la nuova Edith Piaf venuta dalla terra del sole" dicevano entusiasticamente i Francesi, "la nuova Orietta Berti" per gli Italiani... che peraltro definiscono "Orietta Brecht" Antonella Ruggiero...), viene Elisa Toffoli (impossibile includere Mina in questa linea, non si può paragonare a nessuna altra interprete, né pop né lirica). Perfetto punto di incontro tra Pop e qualità, vale a dire platee di grandi dimensioni e talento realmente messo in scena, con un tocco di sperimentalismo, il tutto con perfezionismo che non lascia quasi nulla al caso.

La mia impressione è che la rock-pop-folk-singer della Venezia Giulia potrebbe fare davvero di più se avesse maggiore libertà di azione. Purtroppo l'invadenza di una produzione miope, le politiche di marketing pesantemente unidirezionali e canali distributivi impermeabili e blindati, non saranno di aiuto: se chi vi opera è riuscito (va riconosciuto) nel "miracolo" di aver scoperto e dato voce a un simile talento, nella limitatezza di vedute svelano tutto il provincialismo della concezione che la musica "Made in Italy" ha troppo spesso di se stessa.

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