Parlare di Elisa (Toffoli all'anagrafe) alla luce della sua (sin qui, appunto) luminosa carriera significa anche inevitabilmente porsi l'interrogativo da sempre al centro della musica "made in Italy": vale a dire quello della sua contestualizzazione nello scenario internazionale.

Non è (va detto subito) un quesito di facile soluzione, sia per la diversità che a volte appare come un solco incolmabile che ci separa da quel mondo anglo-americano con il quale più direttamente ci si mette in rapporto, sia per la complessità realmente elevata dello scenario e della storia musicale italiani. L'interrogativo è così riassumibile: dando per scontata la minore dimensione commerciale e mediatica della Musica Italiana rispetto a quella anglo-americana, quando autori o interpreti italiani cercano di accostarsi alle svariate forme che si ricollegano a quei linguaggi (rock, funk, rhythm'n'blues, brit-pop?) devono "sciogliere" il dilemma della non facile adattabilità della lingua italiana a forme musicali modellate attorno alla lingua anglosassone. Il che porta con sé l'altro aspetto, vale a dire quella "demarcazione" geografica che (nella maggior parte dei casi) rappresenta un limite piuttosto che una risorsa, e  la conseguente "visibilità" mediatica presso un pubblico che non sia "solo" italiano. Il tentativo di internazionalizzazione della musica italiana ha prodotto due tipi di risposte artistiche: il tentativo di coniugare forme musicali mutuate dalle isole britanniche o dalle terre d'oltre oceano alla lingua italiana (dalla PFM in parte della sua produzione ai Cccp, dai Litfiba a successori, come la triade più "adulta" formata da Afterhours, Marlene Kunz, Verdena, o quella più "giovane" rappresentata da Velvet, Negramaro, Vibrazioni); la seconda opzione è stata quella dell'adozione integrale di musica e cantato in lingua inglese: per fare alcuni esempi, Uzeda, Reflow, Technogod, Pankow oltre alla citata PFM del periodo "americano" (e infiniti altri). Schematicamente le cose sono andate più o meno così: la seconda strada si è rivelata ben più impervia e difficile della prima, sia per lo scarso successo all'estero (nonostante in molti casi la proposta fosse nettamente superiore ai modelli originali) sia per la maggiore difficoltà di comunicazione con un pubblico italiano "spiazzato" da una lingua che non gli appartiene. In altri termini è chiara la differenza tra il successo italiano di Vasco Rossi, Carmen Consoli, Bluvertigo, mentre più difficile è la questione per LIN, Plasticoast, etc.

Sono consapevole che è una premessa molto lunga, ma va fatta per rendere comprensibile un caso praticamente "inedito" nella storia della musica italiana.

Sin dall'inizio, infatti, Elisa, originaria di Monfalcone (provincia di Gorizia) ha interpretato in perfetto allineamento agli standard del pop-rock americano canzoni in (perfetta) lingua inglese: dallo straordinario singolo "Labyrinth", perfetto punto di incontro tra potenzialità pop e suoni di una certa potenza (chitarra-basso-batteria), con il valore aggiunto di una voce assolutamente fuori dal comune: duttile e aggressiva, matura nonostante la giovanissima età che la cantante friulana aveva all'esordio, e straordinariamente espressiva. "Pipes and Flowers" sebbene con alcune lievi (ed ovvie) cadute qualitative, confermò l'eccezionalità del talento e la continuità musicale con quanto "promesso" dal singolo apripista: tra rock e pop, tra dolcezza e aggressività, un intimismo sicuramente un po' "simulato" ma non per questo meno efficace. I successivi "Asile's World" e "Then Comes The Sun" consolidarono il successo commerciale e soprattutto confermarono le qualità compositive di questo personaggio, equidistante dallo status di "nuova icona pop", (una sorta di "Madonna made in Italy") e interpreti del rock "femminile" che annoverano una gamma variegata di personalità, da PJ Harvey a Suzanne Vega.

Il fatto eccezionale (e unico) fu tuttavia che il massimo della visibilità presso il "grande pubblico", giunse con la vittoria sanremese del 2001. Fu la sua prima partecipazione e la sua prima canzone in italiano, e (caso assai raro nel più importante concorso della Canzone Italiana) giunse al (meritato) primo posto, ricevendo al tempo stesso vari premi della Critica, che tradotto significa: qualità unita a successo.
"Luce (Tramonti a Nord-Est)" fu infatti un gioiellino: arrangiamento alla Peter Gabriel, melodia e testo di ottimo livello (importante fu la collaborazione con Zucchero alla scrittura), sonorità moderne, orchestrali con sullo sfondo timidi cenni di elettronica. Qualcuno scrisse che si trattava di "un pezzo che fa compiere un balzo in avanti di vent'anni alla tradizionale forma-canzone all'italiana". E qui il cerchio si chiude. Elisa ha dimostrato (si pensi alla cover di "Almeno Tu Nell'Universo" di Mia Martini) di riuscire ad esprimere ai massimi livelli il suo talento vocale e compositivo laddove si cimenta con la canzone italiana.

Una prova (almeno a mio parere) è racchiusa all'interno dell'ultimo "Pearl Days": si tratta della conclusiva, dolcissima ballata per pianoforte e voce "Una Poesia Anche Per Te". Impossibile non provare struggimento, dolcezza, e un sottile senso di disillusione nell'ascolto di questo (secondo) gioiello in lingua italiana.
Il resto dell'album, totalmente in lingua inglese, a mio avviso di buon livello (ma non eccelso) da un lato riassume la preparazione artistica di Elisa (che cita in modo forse un po' troppo eclettico scena di Seattle, New Wave, Bjork?), dall'altro risente in modo un po' troppo evidente della produzione di Glen Ballard, già al lavoro con Alanis Morrisette (e l'analogia tra le due interpreti si avverte soprattutto in "The Waves" e "Swan"), paragone che Elisa respinge, ma (nuovamente a mio parere) in modo non completamente convincente. Sembra infatti chiaro che le musiche prodotte riflettano la tensione verso il target dell'apertura di un "passaggio a nord-ovest" nel mercato statunitense, ("Elisa as like as the new Alanis Morrissette"), ciò che traspare apertamente dal singolo apripista "Together" (allusivo a certi schemi hard-rock melodico e grunge). Il quale suona anche come la traccia più debole dell'intero lavoro. Tra questi due punti cardinali (innovazione della Canzone italiana e simulacro classico di certo rock passato e presente anglofono) si situano tuttavia episodi dal fascino notevole: "City Lights" liquida, malinconica eppure luminosa (di una luce autunnale, tiepida, quasi fredda), e "Bitter Words" che sinuosamente si snoda attraverso una trama di basso, arpeggi elettro-acustici e ritmi languidi, di una grana decisamente più fine rispetto ad altri episodi.

Un album che non passerà alla storia artistica di Elisa come il suo più riuscito (molto meglio il più acustico e introspettivo "Lotus"), ma vale la pena fare una considerazione conclusiva.

Il talento richiede la prova del tempo, e da "Cure Me" ed altri hits di anni ne sono trascorsi a sufficienza. Tuttavia il limite più condizinante, al di là della gestione di questo lavoro è (a mio avviso) rappresentato dalla "politica" della casa discografica, la Sugar: label "indipendente" con  quartier generale nella Galleria del Corso a Milano, promozione di calibro mondiale, e gestione artistica che non essendo esattamente (per le citate ragioni) sensibile alle reali potenzialità di talenti che andrebbero "coltivati" con maggiore attenzione alle loro reali peculiarità, finisce con l'omogeneizzare l'intera opera come un perfetto prodotto, smussandone i picchi e colmando eventuali lacune (nulla di male, sia chiaro: "il rock è esso stesso un mezzo di comunicazione di massa" e quindi inscritto in maniera imprescindibile nei meccanismi e canali distributivi dello show-biz); la mia critica (purtroppo stavolta negativa) è nel metodo, e non nel fine .

Spero Elisa prosegua in maniera diversa la gestione del suo (straordinario) talento. Il fatto che abbia tra i primi artisti italiani ricevuto il "Premio Mia Martini" della Critica, permette (può apparire un azzardo) di accostarne il nome a quello della prematuramente scomparsa Cantante romana, che collaborò con i più importanti nomi della Canzone d'Autore (da Bruno Lauzi a Ivano Fossati), e che mentre in Italia era appannaggio al massimo dei rotocalchi in Francia veniva definita come "la nuova Edith Piaf venuta dal Paese del sole".

"e il mio maestro mi insegnò com'è difficile vedere l'alba dentro l'imbrunire". Tramonti, cioè, non solo a Nord-Est.

Commento:
Un disco interlocutorio, sicuramente poetico e intenso,  con aperture a intuizioni nuove ma non ancora focalizzato sul nuovo corso artistico.

Tracce consigliate:
"Una Poesia Anche Per Te" (riedizione 2005); "Life Goes On"; "City Lights"; "Bitter Words"

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