Un moniker tremendamente orgoglioso e indisponente, quello degli Elitist. Insomma, proprio di questi tempi, in cui i filosofi si scervellano per porre le basi teoriche di una società giusta (meritocrazia? Discriminazione positiva?), questi quattro becerotti vanno a tirare in ballo il vituperato concetto di elite. Epperò... epperò... a ben vedere, quella che suonano -o meglio eruttano- non è musica per tutti, almeno al primo ascolto: solo i poveri meDallari incalliti senza nulla da perdere, zozzoni e pulciosi, possono digerire questa roba senza dover subire un'ulcera che manco dopo il budellone in umido di vostra suocera.

Provenienti dalle oscure fauci della città di Portland, gli Elitist sono il classico gruppetto devastante che affonda le proprie radici in una matrice hardcore-sludge per poi sbocciare in un variegato spettro dei generi più ostici: dal Doom al Black, dal Death al Grindcore. Nonostante questa moltitudine di influenze disparate e disperate, non possono non soggiungere all'intelletto gli Eyehategod più marci, con un pizzico di violenza in più e molto fascino in meno. Una chicchetta dal potenziale indubbiamente elevato, traboccante di idee talvolta rese maluccio e spesso organizzate peggio. Tuttavia, con la sua duplice anima (una doomeggiante, l'altra schizoide), questo dischetto è in grado di accontentare tutti i fanatici dell'estremo e coloro che non ricercano solo soluzioni ardite, che non intendono abbeverarsi sempre alla diafana fonte della purezza, ma sono disposti anche a sorbirsi una mezz'oretta di sudiciume nichilista.

"Fear In A Handful Of Dust" è un lavoro malato, in grado di scavare, coi suoi chitarroni perpetui, nei meandri dei nostri istinti soppressi. E sono questi i dischi che insegnano il vero galateo; regalatelo ai vostri cuginetti, regalateglielo. Vi saranno eternamente debitori, anche dopo che i vostri zii avranno frantumato lo stereo di Walt Disney a suon di mattonate: diventeranno pronti ad accettare tutto con un'accetta. Gli Elitist ci consentono di porre in atto i nostri pensieri più rozzi, di sfogare le nostre pulsioni più perverse: roba che manco il buon Sigmund. Prendete "Slowly Fucked And Force Fed": voglio ben vedere se non avrete voglia di ficcare la mela della maestra in bocca alla Diaz.

Un altro esempio di utilità lampante: vi hanno trascinato in discoteca? Niente di male: sparate questa a tradimento e osservate come, all'irriverente "Bleeeargh" di Joshua Green la gente inorridisca, strilli isterica, lasci i mozziconi di sigaretta a spegnersi sulla pista da ballo cosparsa di preservativi usati ed esca dal locale piena di ustioni e scottature al culo, scioccata e piagnucolosa, mentre voi urinate nei loro Bacardi da fighetti! Perché voi siete giovani, gli Elitist sono giovani, e si possono permettere anche una beata ingenuità a fronte di una proposta che è sì un po'monotematica (ma non monotona), ma fa il culo a tarallo come poche.

Roba che manco il budellone in umido.

UH!

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