Mi chiamo Elizabeth. Elizabeth Nevills, poi signora Cotten. Tutti però, a cominciare dai miei quattro fratelli, mi chiamano “Libba”. Sono nata a Chapel Hill, nel North Carolina. Suono dall’età di 7 anni, anche se fu davvero difficile riuscire ad avere lo strumento che sognavo, la chitarra. Per comprane una, qualche anno dopo, imparai da mamma il mestiere di domestica, l’occupazione di molte donne come me.
Ho imparato a suonare da sola. Mi sentivo trasportata dalla musica che ascoltavo. Non ho mai avuto altri insegnanti. Zero nozioni musicali. Zero nozioni strumentali. Nemmeno di banjo. Così, senza saperlo, ho suonato invertendo tutto. Tengo la chitarra al contrario. Sono mancina. Ma non ho mai invertito l’ordine delle corde. Sicché, mi hanno poi spiegato, che suono le corde basse in basso e le corde acute in alto. All’opposto! Quindi ho anche modificato il modo della mano sinistra di pizzicare le corde. A me pareva logico. Per gli altri è folle, al meglio scomodo. Faccio, in un certo senso, il fingerpicking al contrario. Suono i bassi con l’unghia dell’indice e le note melodiche col pollice. Si dovrebbero pizzicare i bassi col pollice, gli acuti con l’indice e il medio. Ma io che ne sapevo! Per me è giusto così. Il contrario di una cosa non è necessariamente sbagliato.
Pare che, oggi, il mio umile “two-fingerpicking” o, come dicono certi, “Cotten-picking” sia un esempio abbastanza importante del vecchio folk americano. A me sembra assurdo chiamarlo stile chitarristico. Sembra assurdo vedere il mio nome accanto a quelli di John Hurt e John Fahey. Il mio modo di sincopare non è così accentuato. Mi concentro sui bassi per costruire i brani. Uso tempi e ritmi vari. Tutto qui. Mi cullo sul ritmo, poi incastro le note finché ne viene fuori una musica possibilmente mia. Non mi parlate di stile. Non so cosa sia. Io conosco solo la musica che amo. Il ‘parlor-style’, l’old-time country music, il country-blues, il ragtime e gli inni religiosi. Ci senti il blues e il ragtime in “Wilson Rag” e “Washington Blues”. Il parlor in “Spanish Fang Dang” e “Sweet Bye Bye/What A Friend We Have In Jesus”, dove pizzico insieme note acute e note basse. È tutto qui.
Suonavo in chiesa a Carrboro. Poi, a 17 anni, ho sposato Frank. Abbiamo avuto un tesoro di bimba, Lillie “Regina”. Ci siamo dovuti spostare spesso per lavoro: North Carolina, Washington D.C., New York City. Così ho via via smesso di suonare. Quando Regina si sposò, decisi di andarmene con lei. Nel 1953 lavoravo presso la famiglia Seeger, a New York. Avevo 60 anni tondi. Charles e Ruth Seeger erano due brave persone. Ero la loro domestica di fiducia. Adoravo i loro figli, specialmente Peggy e Mike. Con la musica ci sapevano fare. La studiavano con una devozione incondizionata. Pete, il maggiore, si era già affermato in quel mondo lì. Quell’anno aveva inciso dei tradizionali per bimbi, cantando e suonando amabilmente il banjo. Hai presente “Jim Along Josie”? Anche Peggy, poco dopo, e Mike, nei ’60, si sono ricavati il loro spazio nella folk-music americana. Era un vizio di famiglia.
Un giorno festeggiavamo “Animal Folk Song”, secondo album di Peggy e casualmente suonai, vincendo la ritrosia, la mia canzone più cara, “Freight Train”. L’avevo composta a 15 anni. Parla del treno merci che sentivo fischiare poco lontano da casa. Parla della morte semplicemente perché fa parte della vita. Oggi non ne parla più nessuno. L’abbiamo rimossa come fossimo immortali. Beh, per me, è solo una partenza! Ne ho fatto una specie ninnananna, tanto che la cantavo ai miei fratelli proprio per farli addormentare.
Freight train, freight train, run so fast
Freight train, freight train, run so fast
Please don't tell what train I'm on
They won't know what route I'm going
When I'm dead and in my grave
No more good times here I crave
Place the stones at my head and feet
And tell them all I've gone to sleep
When I die, oh bury me deep
Down at the end of old Chestnut Street
So I can hear old Number Nine
As she comes rolling by
Il punto è che Mike si intestardì a farmi suonare di nuovo. Che sciocco! Io che avevo suonato solo in casa e in chiesa. E, soprattutto, avevo smesso di suonare da quasi trent’anni! I Seeger mi fecero ricominciare! Erano stupiti dal mio “stile” non ortodosso.
Ridare musica ai miei ricordi è stata la cosa più incredibile della mia vita! Mike, a un certo punto, si è messo persino in testa di farmi incidere un disco per la Folkways. Io che avevo oramai la bellezza di 65 anni?! Eh?! Eppure!
In “Folksongs & Instrumentals With Guitar”, una raccolta che mi piace sintetizzare nei termini di “country ragtime”, ci ho messo proprio “Freight Train”, la canzone per cui vorrei essere un giorno ricordata. Quel fischio lontano era meraviglioso! Con la chitarra me la cavavo bene. Ma la voce mi imbarazzava terribilmente. Ci ho messo il mio canto flebile, incerto. Spero ti faccia un po’ tenerezza. E che ci trovi dentro la calma, la pace, la serenità che mi hanno ispirato quel brano. Lo spero, proprio perché lì accenno alle destinazioni incerte.
Qualcuno, qualche studioso, si chiamano “etnomusicologi”, mi pare, sostiene che io abbia influenzato molti musicisti bianchi che tra gli anni ’50 e ’60 han ripreso il fingerpicking dei neri. Boh! Io, il fingerpicking, non l’ho inventato. Nessuno l’ha inventato da solo. Certo. Posso dirvi che, grazie a questa incisione del 1958, mi hanno omaggiato con la loro riconoscenza John Fahey e Leo Kottke. Fahey sostiene addirittura di essersi ispirato a me, al modo in cui adatto e incrocio le mie varie influenze, all’uso che faccio delle accordature aperte. È troppo buono!
Ho avuto l’opportunità di esibirmi al Newport Folk Festival e allo Smithsonian Festival Of American Folklife, ho suonato con Missisipi John Hurt, John Lee Hooker e Muddy Waters.
Nove anni dopo il primo, mi son presa un po’ di tempo, ho pubblicato un secondo disco “Shake Sugaree”, con “Washington Blues”. Nel 1979 ho pubblicato il mio terzo album, “Vol. 3: When I’m Gone”. E faccio anche le “tournée”! Canto e suono in pubblico ancora oggi, che ho compiuto la tenera età di 94 anni. Mi accompagna Mike. Essenzialmente mi aiuta a salire sul palco! Mi accorda la chitarra quando serve, sempre con quel suo fare rispettoso e affabile. Sapete com’è, ho qualche acciacco. Immaginate! Ma suono. E canto con la mia voce fragile, ma con tutta la gentilezza che posso. Se mai avessi un vero stile, vorrei che fosse dolce e pacato, carezzevole e intimista. Ci conterei. Se ne fossi capace, vorrei commuoverti, almeno un poco. Magari con “Freight Train”! Spero di poterti far sentire un po’ di saggezza in quella canzone che ho scritto quando ero solo una fanciullina. È una sorta di presagio. Quell’incontro misterioso di volontà e di destino! Cose che, insomma, ti cambiano la vita, o sono la vita. La sua melodia, te lo dico seriamente, è una specie di archetipo della mia anima. Non ho timore a confidarlo. Di certo ci senti l’affetto che ci ho messo dentro. Se lo senti anche solo un pochino, sappi che ti sto già facendo da nonna! Ed era quello che aspettavo.
Quando morirò, credo felice e sazia di giorni, spero di poter continuare a provare una gioia simile a quella che mi ha dato la musica. Non ho parole per definirla al di fuori di semplice.
Il treno, dal canto suo, continuerà a correre.
Syracuse, New York, 28 giungo 1987
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