Dove trovare un buon prodotto elettronico privo della plasticosa aberrazione dell'attuale idillio pop-commerciale, leggermente cacofonico ma non troppo, dinamico ma non sconquassaudito, abbastanza fruibile dall'ascoltatore medio senza essere fin troppo easy e ammazza-classifiche? Difficile scorgere un simile atollo sperduto, una minuscola punta di iceberg affiorante dal glaciale oceano di djs e pseudo djs da balera di massa, eppure qualcosina rimane fuori dagli schemi della becera commercialità e, pur senza flirtare con le major e i loro blandi interessi, riesce a sfornare una catena di nicchie musicali interessanti, piacevoli e soprattutto rispettose degli equlibri.
Ellen Allien, alias Ellen Fraatz, tedesca, fa parte di questo immutato regno underground dove il naso della grande industria discografica non riesce a captarne le fragranze più delicate e i profumi più ottenebranti. Immersa nella cosmopolita Berlino, completamente trasformata dopo il crollo del Muro, ridisegnata ad arte nei suoi frangenti più remoti, metropolo fra le più creative e avanguardiste d'Europa, la Allien non fa altro che continuare a inspirare e respirare il vento del post modernismo riunificatore delle due Germanie e portatore di una freschezza culturale modello per il Vecchio Continente (e parlo anche dell'Italia delle facilonerie fasulle) ed anche per l'intero globo. Concentrando nelle sue opere il succo della strabiliante produttività e delle sperimentazioni nate e maturate fra il sottosuolo e il sovra-asfalto della capitale tedesca, Ellen giocherella - con grande estro ed encomiabile professionalità - con le suggestioni acido-elettroniche della scuola berlinese, espandendosi dal classico sythpop-ambient all'ardore techno-trance, alla minimal dance e al trip-hop proto-britannico.
L'ultimo album, "Dust", uscito nel 2010, non è altro che l'elevazione al cubo del gran calderone germanico e di tutta la tradizione elettronica europea, adeguatamente rivisitata e corretta all'attuale contemporaneità temporale (ed anche umorale). Quasi privo di parti vocali, "Dust" propone una sequenza non troppo lunga - dieci tracce - di brani in cui la componente sonora salta sull'altare trionfale del protagonismo assoluto, altare composto da sinusoidi di mood ritmici fra il greve e il leggero, il sereno e la tempesta, il dolce e l'amaro. Una sequenza "magica" di melodie sintetiche che ha i suoi migliori momenti nell'inquietudine trance di Flashy Flashy, nell'ascetismo tribal-electroclash della pompata Schlumi e delle effusioni lounge-chill out di Ever, ma ancora nella bizzarra composizione synth-rock You, nel cupo e mistico esordio ambient di Our Utopie e del vicino successore Should We Go Home e infine nel minimalismo techno-robotico di My Tree.
Gagliarda collezioni di composizioni synth-evocative, Dust è un album che si presta ad ogni atmosfera e a qualsiasi stato d'animo, una sorta di orologio musicale "elettronico" in grado di scandire strategicamente l'umoralità dell'individuo in un preciso arco temporale. Comparabile con i primissimi Royksopp instrumental-ambient di Melody A.M. e di The Understanding - solo per citare due esempi noti, Ellen Allien può a tutti gli effetti essere considerata una degli ultimi arcangeli-salvatori dell'ormai compromesso firmamento elettronico, in pasto alle bocche affamate della dura legge della domanda e dell'offerta di plurimassa.
Ellen Allien, Dust
Our Utopie - Flashy Flashy - My Tree - Sun The Rain - Should We Go Home - Ever - You - Dream - Huibuh - Schlumi.
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