Il 21 ottobre scorso Elliott Smith, il cantautore di Portland acclamato negli USA quale vincitore dell'Oscar per la canzone "Miss Misery", colonna sonora del film "Good Will Hunting", si è ucciso piantandosi nel petto un coltello da cucina. Soffriva di depressione ed era uscito da poco da una lunga dipendenza dall'eroina. Aveva 34 anni.

Un anno fa, mentre ero al cinema a vedere il film "The Royal Tenenbaum", sentii una canzone della colonna sonora di una bellezza maestosa: scarnificata, monotona fino allo sfinimento, irresistibile. Tornato a casa, cercai su Internet Movie Database e scoprii trattarsi di "Needle in the hay", di un certo Elliott Smith. Da lì, la scoperta (a ritroso) di una miniera di meraviglie...

In questo "Figure 8", uscito nel 2000 e che rimane così il suo (quinto e) ultimo album, c'è una summa di tutto l'Elliott Smith dei dischi precedenti: quello degli esordi (ascoltate "Somebody that I used to know", una canzone che dura solo due minuti, con una struttura folk alla Dylan del periodo di Freewheelin', rassicurante per gli amanti del fingerpicking classico e al tempo stesso modernissima nei profumi e nei sapori), e c'è quello più recente dell'album "XO", con l'apertura agli arrangiamenti orchestrati in stile Elvis Costello (ad esempio la beatlesiana "Son of Sam", dalla quale è stato estratto un video e di cui si trova in rete anche una versione acustica molto convincente, o la splendida "Happiness", dall'incedere solenne ed indolente).

A volte il songwriting di Elliott Smith può ricordare quello di Nick Drake, soprattutto nel timbro della chitarra acustica e per il vezzo di trascinare i suoni con la voce in lunghe, stralunate melodie. Ma qui c'è meno psichedelismo, più il gusto di una melodia raffinata alla Badly Drawn Boy, ricercata eppure godibile fin dal primo ascolto. E molto più il senso di un lucido, poetico, cupo, ineludibile dolore, che traspare evidente dalle parole e che tuttavia non sfocia mai nella disperazione. Ascoltate "Junk Bond Trader": "your world's no wider than your hatred of his \ checking into a small reality \ boring as a drug you take too regularly" (un tema, quello del rapporto con le droghe, che ricorre ossessivamente in molte canzoni). Ascoltate "Happiness": "oh my, nothing else could've been done \ he made his life a lie so he might never have to know anyone \ made his life the lie you know".

Altri momenti intensissimi: "Wouldn't mama be proud?" (un pop semplicemente perfetto), "I better be quiet now" (mentre ascoltate la melodia sulle parole "a lot of hours to occupy, it was easy when I didn't know you yet \ things I'd have to forget \ but I better be quiet now \ I'm tired of wasting my breath \ carrying on and getting upset" NON POTETE NON provare una sensazione di sublime piacere estetico) e la conclusiva "Can't make a sound", con l'epitaffio-tormentone: "why should you want any other \ when you're a world within a world?".

L'album si chiude con un breve, strumentale congedo, "Bye" appunto. Un suono di pianoforte che sembra provenire dal sottosuolo.

Addio, Mr. Elliott Smith.

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