I 15 secondi iniziali della prima traccia del disco sono più che sufficienti a radicare nell’ascoltatore la convinzione che vale la pena rinunciare a qualche pacchetto di sigarette e tenere da conto questo piccolo gioiello.
Se gli americani ascoltassero oggi Xo esclamerebbero stupiti “Ma come? In Inghilterra continuate a fare ancora la roba dei Beatles??” E poi andrebbero felici e contenti in spiaggia a giocare a freesbee col disco.
Dentro l’opera di Smith si possono facilmente ritrovare i punti di forza di alcuni validissimi cantautori.
John Lennon, Bob Dylan, Elton John, Richard Ashcroft, Neil Young, riuniti tutti quanti sotto un sound anni sessanta, con impressa sopra una Union Jack dai toni più accesi che mai.
Le idee sonore sono le stesse che hanno fatto e stanno facendo la fortuna di molti artisti rock di oggi che, non volendosi sbilanciare verso un rock più cattivo, gli si approcciano in maniera più soft ma non meno incisiva.
Il neo di questo disco (ed è un grosso neo…) è che 14 canzoni sono veramente troppe per questo tipo di sonorità retrò e a volte “l’opera” diventa se non ripetitiva quantomeno limitata in molte cose.
Tra l’altro è lo stesso difetto che, seppur in maniera minore, si può riscontrare in Figure 8, l’ultimo album del cantautore che segna sia l’apice estremo che la fine della sua breve e sfortunata carriera.
Xo rimane comunque un ottima prova di come, basandosi su vecchie idee, si possano tirar fuori belle canzoni, pur non facendo la pubblicità per le compagnie telefoniche e non distruggendo le stanze degli alberghi.
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