Dall'hard rock del loro eponimo debutto, gli Eloy si mossero prontamente verso un progressive space-rock con la line-up ridisegnata dal fondatore, il chitarrista Frank Bornemann. Registrato nel 1972, "Inside" ebbe un discreto successo commerciale, forse grazie a sonorità che stavano tra Hawkwind e Pink Floyd.
Di fondo, "Inside" è costruito intorno a una vincente combinazione di melodia, prog sinfonico e lunghe jams. Il pattern musicale, privo dell'aggiunta di fiati o eventuali percussioni, è quello classico del rock. La struttura delle canzoni non è che sia complessa come, ad esempio, negli Yes, ma il disco è forte di melodie memorabili, arrangiamenti originali e liriche significative; essenzialmente nelle tracce spiccano consecutivi riffs mesmerici di basso e batteria, mentre chitarre e organo si alternano improvvisando la direzione sonora e il supporto ritmico.
L'album ha 4 tracce, e inizia con i 17 minuti epici e tenebrosi di "Land of no body", veicolati sulle sperimentazioni e improvvisazioni delle tastiere di Wieczorke, con lanci a capofitto nel grooving.
L'omonima "Inside" ha un notevole riff sinistro, che si staglia lungo tutto il pezzo prima di abbandonarci ad un atmosferico finale.
"Future City" è caratterizzata da piacevoli risvolti percussivi e un costante lavoro di chitarra per tutta la jam, che poi sfocia nella conclusiva "Up and down", una combinazione classica degli elementi degli Eloy, fatta di languide detonazioni spaziali, grasse tessiture di corde d'organo e una sublime e lenta commistione di jazz e blues di fondo.
Le due tracce aggiunte sulla ristampa del 2000 sono dei brevi singoli del 73, "Daybreak" (inneggio epico per chitarra e organo, con brevi cori vocali) e "On the road" (ipnotico tappeto di tastiere in crescendo).
La chitarra di Bornemann, fluida e mai ridondante, è versatile e nel supporto delle trame e nel ricamo dei solo, ma spesso il gioco è diretto dal tastierista Wieczorke, che con una performance di classe cava il meglio dal proprio Hammond, a volte potente e rabbioso, a volte leggero ed etereo, spesso spingendolo al limite alla maniera di Keith Emerson; i momenti culmine si raggiungono quando è coadiuvato dal supporto della chitarra di Bornemann, specie negli intrecci.
Eccellente il lavoro della sezione ritmica di Stocker e Randow, con il basso a guidare vigorosamente le jams e la batteria precisa e calda mai sopra le righe.
Inoltre in "Inside" Bornemann dà la sua prima prova al canto, e purtroppo ce ne accorgiamo: era in età avanzata, e nonostante il supporto dei tecnici di studio le sue linee vocali sono spoglie e poco sofisticate; sicuramente la scelta di cantare in Inglese, a discapito della dizione e del timbro, è stata sfortunata, considerando anche che il significato delle liriche, avendo una certa importanza, dovrebbe essere colto più facilmente.
Ed è quindi la voce poco ispirata l'unica nota dolente di questo disco, che potrebbe essere a tutti gli effetti considerato un masterpiece, dato che dopo 35 anni sfoggia ancora un'ammirabile freschezza e un'energia contagiosa.
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