Archiviati i turbolenti anni '80 con due buoni album come "Reg Strikes Back" (1988) e "Sleeping With The Past" (1989) nel decennio successivo il personaggio Elton John prende definitivamente il sopravvento sul musicista Elton John agli occhi dei media e di conseguenza del pubblico: certo, l'ispirazione non è più quella dei mitici seventies ma tra gossip, colonne sonore Disney, autocelebrazioni e altre sciccherie di questo genere quanto di buono fatto dall'EJ musicista in quegli anni passa irrimediabilmente in secondo piano ed è un peccato perché, seppur con grande discontinuità, il vecchio Elton ha continuato a fare ottima musica anche nelle ultime due decadi.

Discontinuità, appunto: esaminando la discografia in studio di EJ dal 1992 fino al 2006 si riscontra una continua e sistematica alternanza tra ottimi album e uscite decisamente bolse ed evitabili: ad esempio il raffinato ed elettronico "The One" del 1992, album di indubbio e riconosciuto spessore è seguito a ruota da "Duets" che a parte 3/4 ottimi episodi si rivela una noiosa operazione commerciale di scarso interesse, e dopo "Duets" viene appunto l'oggetto di questa recensione, "Made In England" del 1995, a mio avviso uno degli album più sottovalutati della carriera del Nostro, che rasenta lo status di capolavoro presentando un livello di ispirazione decisamente alto oltre che una personalità ben definita e riconoscibile.

"Made In England" vede il ritorno dell'arrangiatore Paul Buckmaster, che aveva già contribuito negli anni '70 alla perfetta riuscita di capolavori del calibro di "Elton John", "Tumbleweed Connection" e "Madman Across The Water", e il conseguente abbandono dell'elettronica su cui era imperniato "The One" in favore di sonorità più classicheggianti: le premesse sono ottime e il risultato finale non delude le aspettative: l'opener "Believe", è una di quelle canzoni che non si dimenticano, con i maestosi arrangiamenti orchestrali di Buckmaster, il ritmo cadenzato della batteria di Charlie Morgan, la graffiante chitarra di Davey Johnstone e l'interpretazione intensa e sentita di EJ che danno vita ad un'epica performance che nulla ha da invidiare ai grandi classici degli anni d'oro, ma anche il resto dell'album riesce a farsi apprezzare positivamente soprattutto grazie al giusto equilibrio tra le ballate, tra cui spicca la dolce e orchestrale "House", senza dimenticare "Cold", "Man" e la bossanova di "Blessed", tutte canzoni di pregevole fattura che non scadono mai nella ripetitività e nell'anonimato come nel successivo album "The Big Picture" e i brani più rock e ritmati, su tutte la trascinante e ironica "Made In England", la movimentata "Lies", che riprende soluzioni già sperimentate nel 1978 con "Madness" senza risultarne una sterile copia e il buon pop rock di "Please". Meritatissima nota di merito per "Latitude", canzone dai toni sognanti con il banjo che conferisce una caratteristica impronta folk, assolutamente deliziosa, e soprattutto per "Belfast", vera e propria poesia dedicata alla tormentata capitale nordirlandese, arricchita da una magistrale sezione di archi che, unita alla melodia del piano di Elton, semplice e malinconica, dà vita ad un capolavoro che può tranquillamente essere accostato per raffinatezza e intensità a pietre miliari del calibro di "Indian Sunset", "Ticking" e "Tonight".

"Made In England" è un album completo, raffinato e di notevole spessore artistico; secondo me il più grande lascito discografico dell'Elton John degli anni '90, anche più di "The One", grazie anche alla presenza di Paul Buckmaster che, come si suol dire, fa davvero la differenza, soprattutto in canzoni come "Made In England", "House", "Cold", "Man", "Lies" e soprattutto "Latitude", "Believe" e "Belfast", che meritano applausi a scena aperta. Per la cronaca "Made In England" fu premiato con un disco di platino mentre la colonna sonora "The Lion King", uscita un anno prima e tutto fuorché memorabile, ne ricevette ben dieci.

Il pubblico ha sempre ragione (ma forse anche no...)

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