Avvertenza: l'oggetto della seguente recensione NON è un album di Elton John.
Si può scrivere in copertina il nome di un cantante senza che questo abbia composto una singola nota dell'album? Per un certo genere musicale questa è una prassi abituale se non del tutto scontata: ce le vedete le Spice Girls o Britney Spears che compongono una canzone? No di certo, neanche nei sogni più folli e allucinati, ma quando sulla copertina di un album (copertina nella fattispecie decisamente inguardabile) c'è scritto il nome di Elton John senza che quest'ultimo ne abbia composto né suonato una singola nota allora diventa davvero difficile considerare tale album come parte integrante della discografia di EJ, quanto piuttosto come una delle tante stravaganze tipiche del personaggio, o al limite come una specie di side-project a cui il buon Elton ha deciso di prestare il nome e la voce.
Fatto sta che EJ, che aveva da poco ricominciato la sua carriera con l'ottimo e sottovalutato "A Single Man", un bel giorno si alza con il piede sinistro e decide di darsi alla disco-music, nel 1979, quando ormai la febbre del sabato sera era già abbondantemente superata: nessun componente della sua storica band si sogna di seguirlo in questa pazza avventura, che vede nello specialista Pete Bellotte il principale compositore di musica e testi e in Steve Lukhater (chitarrista dei Toto) e Marcus Miller (bassista già al fianco di Miles Davis e Luther Vandross) i musicisti di maggior spicco. Considerata la pessima fama del disco in questione, il suo successo commerciale pressoché nullo e il preconcetto generazionale che mi porta ad associare i termini "disco" e "dance" con Lady Gaga, Rihanna, Justin Timberlake e altra rumenta di questo genere mai avrei pensato che un disco come "Victim Of Love" potesse impressionarmi in senso positivo, e invece, con mia grande sorpresa, ho scoperto un album per nulla disprezzabile; poco più che un granello se paragonato ai veri album di Elton John, ma capolavoro assoluto se paragonato alla bella gente di cui sopra.
In estrema sintesi "Victim Of Love" è un disco concepito con grande maestria, strizzando un occhio al funk e alla black music con i suoi giri di basso, i suoi coretti soul e i suoi sintetizzatori piazzati sempre nei punti giusti e mai invadenti, molto breve e scorrevole con i suoi 35 minuti di durata, ritmato e vivace senza mai essere pacchiano: da applausi a scena aperta la cover di "Johnny B. Goode", che ricalca fedelmente la melodia del classico di Chuck Berry, compatibilissima con il timbro vocale di EJ, "dancizzandola" con uno stile e un'eleganza non comuni, senza snaturarla minimamente ma, ascoltandolo senza paraocchi anche il resto dell'album nel suo genere fa la sua porca figura, soprattutto canzoni come la trascinante "Thunder In The Night", con i sintetizzatori in primissimo piano e i leggeri e groovatissimi funky di "Warm Love In A Cold World" e "Spotlight", per non parlare della titletrack "Victim Of Love", con il suo giro di basso e il suo crescendo passionale che contende a "Johnny B. Goode" il titolo di miglior canzone del disco.
Partendo dal presupposto che di Elton John in quest'album c'è praticamente solo la voce (che tra l'altro contribuisce in maniera determinante alla buona riuscita delle composizioni), "Victim Of Love" ha un suo perché e una sua dignità artistica; è uno di quegli album di facile ascolto ma di buona qualità che sanno dare la giusta carica di energia, indubbiamente uscito fuori tempo massimo ma immeritevole della nomea di album spazzatura, perchè quelli sono ben altri, anche se fortunatamente il suo fallimento commerciale fece capire ad Elton John che era meglio continuare ad essere Elton John.
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