Devo dire che mai come nell'occasione che mi si è presentata di recensire questo disco, ho nutrito forti dubbi riguardo allo scriverne. Ho ascoltato e riascoltato le canzoni innumerevoli volte e mi sono ritrovato ad aver ottenuto confusione anziché chiarezza d'idee. Alla fine, in estremo, ho preso a leggere altre recensioni che riguardassero questo stranissimo album, ma la situazione non è migliorata poi di tanto. Come sempre ho letto di gente che ha subito apprezzato "Evocation" ma pure di parecchia che, senza pensarci troppo, lo ha stroncato, considerandolo né più e né meno come un'opera "commerciale", mal riuscita, "stonata". Addirittura qualcuno ha paventato (tra le righe), che questa fosse solo spazzatura; ma è solo una mia impressione, nessuno se ne abbia a male, per carità!
Dopotutto parliamo di una band che nell'arco di due soli dischi ha saputo imporsi all'attenzione mondiale, con un seguito nutrito, ed oltretutto salita alla ribalta anche grazie al supporto della Nuclear Blast, un colosso discografico, come chiunque amante del Metal saprà. Se tutti questo è solo fortuna, allora devo presumere che tutti coloro che hanno amato, ed amano ancora, gli Eluveitie, chi ha dato loro fiducia, investendoci anche soldi, ha preso un granchio grosso quanto l'Africa.
Ma io non lo credo affatto, e alla fine il coraggio l'ho trovato. Così, semplicemente: fottendomene dell'ortodossia che ci vorrebbe, anche se presi da manie folcheggianti e similari, sempre arrabbiati e cattivi. In questo caso non è così, e ci tengo a dirlo e a ribadirlo più volte. Perché? Perché questo disco non è un disco Metal, e nemmeno lontanamente ci si avvicina.
E' un'opera folk. Interamente suonata con l'ausilio di strumenti acustici vecchi e nuovi, cantata perlopiù da voci femminili, e senza nessun growl. Nemmeno di contorno. Niente. L'unica cosa che si concede all'ascoltatore è qualche sussurro malvagio (come in "Gobanno", per esempio), ma nulla più.
Dunque per chi avrà apprezzato "Spirit" prima, e certamente "Slania" dopo, come il sottoscritto, ci saranno certamente incertezze e valutazioni discordi. Quello che però è interessante da sottolineare è il coraggio degli Eluveitie. Potevano benissimo continuare a "battere il ferro finché è caldo", come recita un vecchio detto, e replicare con un'uscita della serie "Slania II", e invece hanno intrapreso una via, almeno per ora, che di certo non potrà non evidenziarne l'originalità, ma che porterà loro anche una caterva di critiche, ne sono certo. E invece di irrigidirsi e di darsi, appunto, all'ortodossia, dando più corpo e sostanza ai loro suoni, hanno preferito virare la rotta verso lidi più orecchiabili e complessi. Ma almeno ben fatti e certamente strutturati e pensati in una maniera tale che costituiscano un capitolo a parte nella loro produzione discografica. Che però ha il punto debole di porsi improcastinalmente a confronto coi suoi precedenti, potendo così dare adito quantomeno a dubbi riguardo alla bontà ed onestà del progetto. Ma questo è un concetto che, in questo caso va rigettato interamente, perché anzitutto, anche per loro vale la regola secondo la quale non ci si può aspettare che qualcosa di "favoleggiante" da una band come gli Eluveitie che ormai non è più e per niente nuova a certi generi e nemmeno sconosciuta ai più.
Per me che già quest'anno ho apprezzato alla follia un'uscita come quella dei Wardruna (cui tra parentesi è dedicata una bella recensione già pubblicata su Debaser, e che vi invito a leggere), che è quanto di più avanguardistico, affascinante, ipnotico e certamente originale in questo mare grosso di Folk, non posso ovviamente che felicitarmi della scelta operata dagli Eluveitie. Anche perché, oltre allo stupore, quì comunque si deve parlare pure dei contenuti che ci sono, sono solidi e riescono pure ad incantare.
Qua ci sono brani che non potrebbero essere classificati altro come specie di "riempitivi", non in senso spregiativo, intendiamoci, ma bensì trattandosi di intermezzi d'atmosfera, anche loro contribuiscono a rendere l'aurea di questo disco ancestrale, di ampio respiro ed indubbiamente affascinante, ancora. Così come pure le canzoni vere e proprie, a cominciare da "Brictom", seguendo per "Voveso In Mori" e finendo con "Memento", forse il picco più alto di tutta quanta la scaletta, fanno la stessa cosa.
Ecco, forse è questa la chiave interpretativa di questo album alla fine: nessun collegamento con "l'appena passato" ma bensì il reinventarsi, il sapersi vestire di abiti pure più tenui, più caratteristici, più misteriosi da scoprire, magari perdendoci pure qualche ascolto in più, perché a differenza di quanto si creda, questo non è un disco commerciale. Proprio per nulla.
C'è anche da dire che, se non fosse per tutto quello che ho scritto finora, ci sarebbe sicuramente da discutere riguardo all'elaborazione dei testi e del contenuto in generale: nessuno mi venga a dire che sente spesso una band cantare e declamare versi in gaelico. Questo certamente non da buone giustificazioni o attenuanti eventuali ad un'opera che se non avesse altro da dire, certamente potrebbe essere cassata e dimenticata; ma vi assicuro che a saperlo ascoltare questo disco saprà farsi apprezzare, ed anche alla grande.
Per chi invece non ce la fa proprio ad evitare di dover ascoltare chitarre ronzanti, batteria al fulmicotone, ecc. ecc. allora questi Eluveitie sono da evitare peggio della peste, parlando anche per chi alle sonorità Folk comministionate col Metal è già avvezzo. Nessuna meraviglia quindi. C'è solo bisogno di una sana attitudine all'apertura mentale, parlando per termini che più demagogici non si può. Per quanto riguarda il resto, sarà il tempo (e le statistiche di vendita a voler essere estremamente materialisti) a giudicare quanto sia valida questa proposta.
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