L’ennesimo Ep di folk metal dalle tinte celtiche? No, nella maniera più assoluta, qui c’è molto di più. Arrivano dalla Svizzera, freschi freschi di contratto con la Nuclear Blast e il loro nome è Eluveitie, un gruppo formato da ben 11 elementi tutti impiegati a suonare i più disparati strumenti, da quelli classici metal (chitarra, basso e batteria), fino a quelli tipici della tradizione celtica, tra i quali figurano l’Uillean (una sorta di cornamusa alimentata da un “flauto”), il Bodhràn (una sorta di tamburello anch’esso tipico della tradizione irlandese) e ancora flauto irlandese e strumenti più classici quali i violini e le viole.
Musicalmente “Vên”, questo il titolo dell’ep, si presenta come un misto di folk metal nel quale fanno la loro comparsa sfuriate black metal con continui accenni al death (più forti poi nel successivo album “Spirit”), il tutto condito da una continua ricerca melodica che rende la musica proposta da questi undici brutti ceffi ancora più gradevole. Vocalmente ci troviamo davanti ad un disco che propone un’alternanza tra parti semi clean, dove Chrigel Glanzmann sfodera un’interpretazione che sfocia verso lidi tipici del thrash metal, ad altri più vicini alla tradizione death, con growl incazzatissimi e di grande effetto.
Partendo da “D´Vêritû Agâge D´Bitu”, gli Eluveitie si dimostrano capaci di costruire melodie in bilico tra l’onirico e il pacato e la violenza tipica di queste formazioni folk, ma è continuando che si trovano i pezzi migliori, che rispondono al nome di “Uis Elveti”, un pezzo particolarmente solare melodicamente, con i flauti veri protagonisti della track che assieme alle cornamuse squarciano la base musicale più prettamente vicino al metal, sostenendo Chrigel che sfodera una buona prova, anche se a causa di una registrazione non proprio perfetta, il basso volume della voce fa perdere qualche punto ad una canzone comunque buona. Bellissima “Orò”, uno strumentale di corno e cornamusa, che riporta la mente alle grandi lande verdi dell’Irlanda. Commovente il “solo” di cornamusa, estremamente toccante grazie ai suoi accenni decisamente tristi. Il finale cambia poi toni, al fine di sfociare nella migliore composizione dell’intero lavoro ossia “Lament”, pezzo particolarmente cadenzato in cui si fondono alla perfezione tutte le influenze musicali che caratterizzano la band: sfuriate black alternate a parti più vicine al death, il tutto contornato da atmosfere celtiche convivono in perfetta armonia.
Superflui i sei minuti di “Druid”, un pezzo a dir poco disordinato, nel quale manca concretezza musicale e che dunque sfocia spesso nel caos, dimostrando che comunque ancora ce n’è di strada da fare per raggiungere una totale maturità musicale. Chiude il disco la ballad strumentale “Jêzaïg” anch’essa dotata di un mood particolarmente triste.
Il prodotto si presenta dunque in generale davvero di buona qualità, pur se con qualche leggera caduta di stile imputabile comunque più che altro ad una mancanza di esperienza alle spalle. Ascolto consigliatissimo a tutti coloro che avessero voglia di riscoprire le tradizione dell’Europa centro settentrionale.
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