E’ così bello passeggiare per i boschi a primavera, soprattutto la mattina presto. La foschia lascia solo intravedere le cose, le emozioni sono lubrificate da fresca rugiada evanescente, i contorni delle cose sono liquidi, temporanei ed i colori si fondono in dense pozze chiaroscurali che portano l’immaginazione altrove.

Eluvium, dal latino “inondazione”; sotto questo, azzeccatissimo, moniker si nasconde Matthew Cooper, uno dei compositori più interessanti degli anni duemila. Il suo chitarrismo nebuloso e minimale fradicio di loop e di variazioni impercettibili, ha il potere di deformare la realtà; le tessiture vaporose e ascensionali contaminano i sensi portandoli su un diverso piano di percezione. Nel boschetto tastiamo profumati cinguettii e gustiamo sfocate brezze color pastello.

Nella radura coperta di nebbia droni lattei e grumosi, come gocce di resina solidificata, intrappolano ricordi larvali; i pezzi sembrano non sottostare alla legge di gravità ed il continuum chitarristico irradia di fioche aspettative l’orizzonte; deboli raggi solari che cercano di filtrare dalla foschia.

A volte mi pare di sentire un Montgomery meno impressionista e più classico, magmatico; le tele composte hanno lo stesso mistero e matericità del Rothko più criptico e dimesso.

Camminando scopriamo uno dopo l’altro i segreti del bosco; tenui accenni sinfonici si insinuano negli interstizi delle composizioni e anche quando l’atmosfera si fa più oscura, Cooper mantiene il timone ben saldo, tracciando rotte sempre coerenti e sicure.

Ma è nei lunghi poemi astratti che il nostro dà il meglio di sé; fertili micro-variazioni in crescendo ci librano lentamente in aria, tastiere gutturali ed elettronica minimale contrappuntano le sensazioni. L’inondazione lascia prezioso limo sulle rive dei nostri sogni.

Seguitemi nel bosco e scoprirete quant’è dolce lasciarsi andare e scomparire all’orizzonte; lasciarsi andare e scomparire all’orizzonte; scomparire all’orizzonte; all’orizzonte; oriz nte; te.

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