Lo chiamavano il re. Uso volutamente le minuscole, ché il CAPS LOCK lo tengo schiacciato solo quando parlo (ma mai lo farò) di quell'altro, quello nato a Firenze e morto a Mestre. Lo chiamavano il re, e con ragione. Eppure, diciamocela tutta - siamo qui tra di noi - alzi la mano chi ha in casa un disco, uno solo, di Elvis. Io no. Nè penso di procurarmelo.


Quando guardo questo video, sempre, la prima cosa che mi viene in mente è: ma perché i pirla mi sono così simpatici? Ecco, questo. Poi di solito, me lo godo. Ridendo come un matto.

Lo chiamavano il re, e con ragione. È stato storia. Ha fatto la storia, l'ha creata, l'ha inventata. Eppure - diciamocelo - un suo disco non ce l'abbiamo, non ci interessa. Abbiamo in casa cose certo peggiori, certo meno importanti. E magari le ascoltiamo pure. Ma di lui niente.

Elvis è sul palco. A Las Vegas, in un palco stracolmo di gente. Un complesso dietro. Coristi, gente che magari è lì e in tutta la serata tutto ciò che farà è suonare un triangolo, o battere le mani. Ma fa niente, al re sta bene che lui o lei ci sia. Cosa vuoi che gliene importi. Chissenefrega, di noi. Lui è lo spettacolo.

Il re - dice la storia - è morto nel 1977. Il che ne farebbe, almeno per me (e forse non solo) ulteriormente un mito. Un altro accadimento di quell'anno devastante. Invece no. Niente. Tanto che quando l'ho riletto, oggi, che è successo il 16 agosto, mi sono ricordato, sì, di quei giorni. Ma mai, dovendo raccontare quell'anno, ci avrei messo tra le cose più importanti quella notte a Graceland.

Indossa il suo consueto completo bianco. Con le frange ai pantaloni. La camicia aperta sul petto. Due basette che diciamo si fanno rispettare. Quando andrà a fare lo stupido con una corista farà un gesto, che mica me lo ricordo perché, ma in quegli anni facevano in tanti. Soffia, stortando la bocca, per scompigliarsi i capelli.

L'anno è il 1970. Il mondo sta cambiando. La musica, anche. E ne esce, di roba meravigliosa. Lui no. Lui è su un palco, di Las Vegas, vestito nel suo solito modo. A cantare le sue canzoni. Lui è da un'altra parte. Non è con chi cambia. Lui è a cantare, davanti a tavolini, imbanditi. A gente agghindata. Per stare lì, seduti lì, quella sera, non credo bastasse uno stipendio da statale.

Suspicious Mind è una canzone semplicissima. Un uomo che si lamenta con la sua donna. Perché è gelosa. E lui la ama troppo. Lei non si fida. E non ne escono. Tutto qua. Questo perché ho guardato il testo. Non c'è una sola mossa, un solo gesto, che Elvis faccia e che abbia a che fare con quello che sta cantando. Niente. Lui è da un'altra parte. Sta cantando un'altra cosa.

La musica lirica, il melodramma - che adoro - è come il wrestling. È ostentazione. Niente, mai, deve essere nascosto. Per nessun motivo. Mai. Quando, nel 1977 o giù di lì, il RE se ne esce con Un Amore Così Grande, mette le mani sul cuore. E su grande allarga le braccia.

Anche la musica lirica, nel 1970, non era tanto amata. Il mondo cambiava. E loro stavano lì. A raccontare delle loro pene. Ostentandole. Davanti a tutti. Delle loro pene, che non erano quelle di chi li viveva quegli anni. Poi, nel '77 qualcuno diceva invece abbasso la Norma, vogliamo la Traviata. Ecco. Il 1977. Quando moriva il re.

Il re. Minuscolo. Che ostenta. Come nel wrestling. Ogni singola mossa. Di fronte a un pubblico di cretini ricchi da far schifo. Che viene da un paese che il melodramma, la gioia di Giuseppe Verdi, per dire, non l'ha mai avuta. Hanno il wrestling, loro, sai che invidia. Però lui, una cosa, la fa. Niente che abbia a che fare con la canzone che canta. Niente. Ma una roba, incredibile. Che gli riesce solo a quelli di quel paese lì. Di essere nel posto più stronzo del mondo, di fronte alla gente più stronza del mondo. A cantare, sapendo di farlo di fronte al Mondo, con la M maiuscola. Non solo cantare, muoversi. Ogni cosa. E lì, riuscire in una cosa che nessun altro mai ci riuscirà. A farti sentire che lui, lì, è solo un ragazzo, da Memphis Tennessee o da dove cazzo, che canta la sua canzone. Un ragazzo, che fa lo stupido. E che si diverte. Chaplin, grande dittatore, che gioca col mappamondo. Senza che gli scoppi in mano. Lì, su quel palco, di fronte al Mondo Intero. Fregandosene.


Lo aspetto, alla Scala, tra qualche anno. Andarci costerà più di uno stipendio da statale. Lo aspetto per perdonarlo. Senza rinnegare l'odio, che a quei tempi provavo per lui. Al RE gli ho già chiesto scusa io.



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