Bene... ora voglio raccontarvi una storia che forse qualcuno di voi già conosce, una storia molto triste. Nella campagna bolognese di inizio novecento viveva una famiglia, c'erano due figli, una madre perennemente sotto effetto di morfina perché ammalata e un padre violento probabilmente reazionario. Uno dei due figli si chiamava Emanuel, ragazzino minuto, sensibile e introverso che alla morte della madre fu costretto ad andare in collegio. Il suo rendimento scolastico era davvero buono, tanto che gli fece guadagnare parecchie borse di studio. Fu la difficoltà di adattamento a portarlo spesso all'espulsione e quindi al cambio di istituto. All'età di 16 anni tornò a casa dal padre insieme il fratello... fu qui che decise di partire per l'America.

Dopo un viaggio estenuante sbarcò nel nuovo continente con pochissimi soldi e per guadagnarsi da vivere fu costretto agli impieghi più umili, come pulire uffici e case di ricche persone, raccogliere cicche per terra e infine servire nei ristoranti italiani a New York. Le sue condizioni di vita furono sempre al limite anche a causa dei ricorrenti problemi di adattamento, i quali fecero si che gli impieghi durassero al massimo un settimana. Nel frattempo lui scriveva, metteva su carta le emozioni, le inquietudini. Era un appassionato di poesia, ammirava la scuola (se così la si può chiamare) dei poeti maledetti francesi, uno su tutti Arthur Rimbaud, la cui ombra è fissa nelle poesie del nostro...

Le sue poesie venivano sporadicamente pubblicate su riviste del settore, di una di queste lo stesso Emanuel divenne anche vicedirettore (sarà la soddisfazione più grande della sua vita). Si sposò anche, in America, ma il matrimonio durò poco, a causa della sua forma di pazzia e la particolare predisposizione ad andare con molte donne e prostitute. Nel 1922 è costretto a tornare in Italia, a causa di un encefalite. Fu in un ospedale di Bologna che ricevette visite di molti scrittori e amici americani del periodo. E fu qui che morì. Grottescamente soffocato da un pezzo di pane.

"Il Primo Dio" è un romanzo autobiografico e riflessivo dove parla appunto della sua vita. C'è in esso un'intensità forse impareggiabile, parole scarne e taglienti che creano inquietudine e indignazione. La tristezza è disseminata ovunque, ma lo stile con cui Em (in America veniva chiamato così) comincia il romanzo è più spensierato e fiducioso. Il libro poco a poco diventa sempre più catastrofico. Carnevali seppellisce definitivamente la religione e perde fiducia in quasi tutte le persone che invece volevano aiutarlo. Un viaggio delirante verso la distruzione raccontato con semplicità e anche qualche vena d'ironia. Ma il meglio sono le sue poesie, raccolte nel volume insieme al romanzo. Questo a mio parere è il più grande poeta italiano (o almeno il mio preferito) e c'è da incazzarsi se si pensa che è praticamente sconosciuto.

Forse bisognerà aspettare che qualche registello di mezza tacca ci scriva sopra una bella sceneggiatura avventurosa e melodrammatica capace di far scoppiare in lacrime alla fine della visione. D'altronde la sua biografia sembra fatta apposta per un film... magari inseriamoci pure un gran figo nel cast in grado di entrare nelle menti di professoresse arrapate spacciatrici di cultura come fosse cocaina facendole sentire fighe a loro volta.

No, semplicemente noi italiani non siamo ancora pronti per certe cose...

 

The houses in a long row

Have wind-burnt red faces

These coffins of motionless air

With a fat silly stare

Beckon at the winds that blow

A joyous insult in their faces -

Old spinsters

Gulping respectably their hate

At the wanton gait

Of scuttling skirts of tall young girls.

They have wind-burnt red faces.

They respectably try

To smile

A red lie

For a while

In a long row

As the winds blow...

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