Un funambolico tastierista dalle doti non comuni, un cantante\bassista\chitarrista che ha contribuito alla nascita di un genere, un batterista dalle doti ritmiche a dir poco non comuni. Sono questi i componenti di uno dei più clamorosi, celebri e pomposi supergruppi della storia. Dopo il fortunatissimo esordio omonimo del 1970, trascinato agli eccelsi anche grazie a una leggendaria esibizione all'Isola di Wight e alla celeberrima ballad Lucky Man, Emerson, Lake & Palmer tornano al successo un anno dopo, facendo ancora meglio, visto che Tarkus raggiungerà la vetta della classifica inglese.

Un disco piuttosto controverso; registrato in poco tempo, non si presenta affatto come un lavoro compatto e unitario. Se la prima facciata infatti ospita una suite di venti minuti che è divenuta un monumento del più alto e pirotecnico rock progressivo, il lato B è costituito da pezzi brevi, inferiori ai quattro minuti, che tradiscono la fattura di brani minori, anche se si possono trovare spunti interessanti. A farla da padrone è sicuramente "l'Hendrix dell'Hammond" Keith Emerson, ex leader dei Nice e personalità narcisista, dirompente, sopra le righe. E' lui a firmare musicalmente l'epica suite che da il titolo all'album, un pezzo a dir poco straordinario che occupa un posto d'onore nella storia della musica.

Tarkus si divide in sette distinti movimenti, e racconta le vicende della minacciosa macchina-animale rappresentata in copertina; curiosamente la storia del riottoso armadillo non viene raccontata nei testi di Greg Lake, piuttosto oscuri, bensì negli storyboards di William Neal stampati nell'interno-copertina.

Un rumore apocalittico scaturito dal moog da' il via a Eruption, il primo movimento; Tarkus nasce infatti da un uovo posto ai piedi di un vulcano primordiale in eruzione. Il tempo è un nervoso 5/4, scandito dal basso su cascate vorticose dell'organo Hammond mentre il sintetizzatore spara note squarcianti e Carl Palmer si fa subito sentire. Note più melodiche introducono la sezione successiva, Stones Of Years, dove entra anche la calda voce di Lake, mentre Emerson si esibisce in contrappunti e assoli di organo, il cui suono è amplificato in modo tale da rendere nettissimo il tipico "click" dei tasti.

Il ritmo riparte violento, come una locomotiva, in Iconoclast: Tarkus vaga per la Terra preistorica affrontando e sconfiggendo diverse creature: una specie di gigantesco mostro tentacolato e puntuto, uno pterodattilo-bombardiere, e un serpente corazzato con zampe da grillo e missili sulla testa. E' un breve preludio a Mass, introdotta da un riff secco di sintetizzatore; la voce di Lake è più concitata, ed Emerson si esibisce in uno sbalorditivo assolo d'organo, verso la fine del quale, sulle rullate impressionanti di Palmer che pare una mitragliatrice, entra anche la chitarra elettrica con note tiratissime. Manticore ci presenta il peggior nemico di Tarkus, la Manticora appunto, un mostro mitologico col corpo di leone coperto di aculei, la coda da scorpione e il volto umano: qui l'organo e il pianoforte in sottofondo compiono evoluzioni e scale vorticose, sempre accompagnati da una sezione ritmica a dir poco esplosiva, interrompendosi di tanto in tanto come per sottolineare l'incedere minaccioso dei due mostri pronti a battersi.

Una rullata di Palmer dal suono distorto introduce alla parla del brano, The Battlefield, che inizia con epiche note suonate dall'Hammond e dalla chitarra elettrica. La voce di Lake è al meglio, ed è la protagonista assoluta di questa sezione, che raggiunge vette di potente lirismo grazie anche a bellissimi assoli di chitarra (una rarità nei dischi degli ELP) e al drumming sontuoso di Palmer. E' il picco dell'intera suite, e a mio giudizio uno dei momenti più emozionanti dell'intero rock progressivo. Il monumentale brano si conclude con Aquatarkus: la bestia corazzata nata dal fuoco per combattere, colpita all'occhio dall'aculeo della Manticora, fugge e svanisce nel mare. L'ultima sezione è una sorta di marcia sorretta dalla batteria e dal moog che infine esplode con suoni apocalittici prima del gran finale che riprende il tema di Eruption.

La leggenda di Tarkus finisce qui, e il ritorno alla realtà non è dei migliori: Jeremy Bender è un tenue riempitivo, un esempio di quello stile honkytonk tanto amato da Emerson che da corpo a una sorta di "country-prog". Probabilmente messo lì per stemperare l'atmosfera dopo cotanta epica, non fa una gran figura. Bitches Crystal è un brano più interessante, piuttosto aggressivo e dalla ritmica irregolare, che si regge su di una forsennata struttura di pianoforte con una batteria velocissima e un Lake urlante.

Bellissima l'apertura, suonata all'organo da chiesa, di The Only Way (Hymn), che tanto per gradire riprende il tema di una Toccata di Bach. La voce di Greg Lake è calda ed espressiva, l'atmosfera eccelsa e nobile. Nella seconda parte l'organo lascia spazio ad un bellissimo e virtuosistico fraseggio di pianoforte, mentre la parte vocale sale sempre di più. Quest'ottimo pezzo confluisce direttamente in Infinite Space (Conclusion), dove il proscenio è tutto per Emerson e Palmer; è un pezzo un po' noioso, tipico accademismo da parte del tastierista, con però un'interessante scelta ritmica del batterista.

Organo, e voce di moog aprono A Time And A Place, un buon pezzo dove la parte di batteria è assolutamente stupefacente per velocità e il moog disegna melodie trionfalistiche, anche se è l'Hammond a farla da padrone con riff grintosi. Simpatica e ironica conclusione con Are You Ready Eddy?, rock'n'roll dedicato al tecnico del suono Eddie Offord. Una canzone facile e divertente, in perfetto stile anni Cinquanta, con pianoforte, coretti e testo piuttosto idiota; conclusione atipica ma potabile per un disco, nonostante gli alti e bassi, imperdibile.

Inutile sottolineare il netto squilibrio tra lato A e lato B, ma questo album si regge soprattutto sulla strepitosa title track, passaggio obbligato per ogni amante del prog e dalla vera musica in generale, uno dei brani più caratteristici del genere e una della più grandi suite mai composte. Arrangiamenti perfetti, tecnica elevatissima, testi suggestivi benché alquanto ermetici, e una potenza espressiva che tocca e cattura per sempre. Per molti, moltissimi, un relitto forse, un ingombrante e ottuso Titanic di un periodo irripetibile della storia musicale, breve ma folgorante espressione di un rock che si era lasciato alle spalle i suoi stessi confini, e che forse proprio per questo smarrirà la rotta nel giro di pochi anni.

Non lasciatevi sviare da presupposti e preconcetti. Tarkus è ancora lì, austero e imbattibile, a trentacinque anni e passa dall'esplosione.

Carico i commenti...  con calma