Volevo postare una recensione sugli ELP (che volete, ognuno ha le sue perversioni...). Avevo in mente uno dei miei tre album preferiti (Tarkus, Trilogy & Brain Salad Surgery). Poi ho letto quelle che già cerano, tutte eccellenti diamine!. Penso: è inutile aggiungere un doppione no?. Che fare allora? Ehi, manca quella del doppio Works vol. 1 e mi chiedo: chissa perchè non c'è? Forse perchè è un album della decadenza ed in più è obiettivamente difficle da recensire essendo un patchwork di cose diverse in cui i tre sfogano le loro ambizioni soliste ritagliandosi una facciata a testa e lasciando il lato B del secondo disco alle nuove composizioni di gruppo.
Emerson aprofitta dell'occasione per soddisfare l'ambizione segreta di ogni pianista prog: realizzare una composizione classica assolutamente "rispettabile". Ecco allora il "Piano Concerto No. 1", registrato con la London Philarmonic Orchestra diretta da diretta da John Mayer. Il primo movimento (Allegro Gioioso), dopo un introduzione atonale, presenta due temi principali (il primo agli archi pastorale, il secondo ai fiati solenne) oggetto di una serie di variazioni del pianoforte e dell'orchestra ed una lunga cadenza al piano prima libera poi su un ostinato vagamente ragtime. Il breve secondo movimento (Andante molto Cantabile) riprende il tema pastorale (con violini, oboe e clarinetto) cui segue una cadenza mozartiana al piano e la ricapitolazione finale con l'orchestra. Nel terzo movimento (Toccata con fuoco) ritroviamo il discepolo di Bartok e Prokofiev. L'ostinato al basso iniziale e quegli accordi dissonanti del piano, cui si sovrappongo le fulminee fiammate dell'orchestra, è puro Emerson. Il rintocco delle campane introduce il momento pianistico più pirotecnico che però sorprendentemente sfocia in un'altra malinconica cadenza. Ma è un breve riposo perchè subito ritorna il tema percussivo iniziale stavolta sostenuto da tutta l'orchestra con un crescendo che culmina nel maestoso inno finale col piano ad accompagnare con una serie di arpeggi e glissandi finali.
Se Emerson gioca a fare il compositore "serio", Lake coltiva, insieme a Sinfield, la sua vena intimista alla maniera di un James Taylor "with strings", registrando un lato solido anche se un pò monocorde. Alcuni brani sono esercizi di raffinato manierismo. 'C'est La Vie' è, ça va sans dire, un omaggio riuscito alla chanson francaise con tanto di accordion (non suonato da Emerson però), organo a canne e coro nel ritornello finale. "Hallowed Be Thy Name" ha un arrangiamento ancora più smaliziato con quei glissando di violini alla Bernard Hermann, quei bassi minacciosi ed un piano blues dissonante a sugellare il tutto. "Lead me into temptation!" grida Lake, pronto a passare al lato oscuro, alla fine di uno dei brani più bizzarri degli ELP. Altri pezzi sono più spontanei ma, forse, meno memorabili. "Lend Your Love to Me Tonight" ha un bell'attacco a cappella ed il solito lussureggiante accompagnamento orchestrale, ma la brillantezza di "From the Beginnning" è lontana. "Nobody Loves You Like I Do" (che inizialmente ricalca un pò "Castle Made of Sand" di Hendrix) è un country rock barocco non particolarmente originale ma, anche quì, l'arrangiamento è perfetto con hammond, armonica e piano honky-tonk (stavolta suonato da Emerson).
La migliore del lotto è però la spirituale "Closer To Believing" che presenta un testo ricercato ma sincero ("And I need to be here with you, For without you what am I, Just another fool out searching, For some heaven in the sky, Take me closer to believing, Take me forward lead me on, Through collision and confusion, While there's life beneath the sun, You are the reason I continue, So near for so long") ed un texture musicale preziosissimo (piano, orchesta e coro). Aggiungeteci la meravigliosa voce di Lake ed avrete un piccolo capolavoro.
Il lato di Palmer è più eclettico anche se un pò meno consistente: due trasposizioni classiche (Prokofiev e Bach), due funky e due pezzi jazz-rock. Visto quanto fatto dai suoi colleghi, Palmer ha tutto il diritto di baloccarsi anch'egli con la grande orchestra nella roboante "The Enemy God Dances With The Black Spirits" mentre in "Two Part Invention In D Minor" duetta elegantemente al vibrafono con la marimba di James Blades in un gioco contrappuntistico che rimanda un pò al "Blues for Bach" del Modern Jazz Quartet. I due brani funk testimoniano un pò i gusti di Palmer per la "blaxploitation" music ed un pezzo come "L. A. Nights" (con Ian Mac Donald e Joe Walsh) non sarebbe stato fuoriposto nella soundtrack di "Shaft". Un sapore cinematografico ce l'ha anche "Food For Your Soul" anche se più vicino al big band jazz di Jerry Fielding o Buddy Rich. Segue a ruota una buona riedizione orchestrale di "Tank" in cui Palmer (bontà sua) accorcia il suo celeberrimo solo per lasciar spazio al moog di Emerson che danza stavolta sul pulsare degli archi (ma viene ugulamente sfumato come nell'originale).
E arriviamo infine all'ultima facciata, che presenta una grossa sorpresa che salta subito all'orecchio ascoltando la rielaborazione della "Fanfare For The Common Man" di Copland ed è il nuovo giocattolo di Emerson: l'avveneristico sintetizzatore Yamaha GX-1 destinato a spedire in cantina sia il Moog che l'Hammond. Il nuovo sound risalta particolarmente, oltre che nella fanfara iniziale, nella jam centrale dove il sinth imita il suono di un'armonica blues e, ad un certo punto, anche quello di una distorta sezione fiati in un gioco di call and response che lambisce il parossismo quando anche Lake decide di suonare il suo basso controtempo. Senza dubbio uno dei momenti più intensi di "Works".
La suite finale è ancora una composizione orchestrale concepita stavolta come colonna sonora di un grande film d'avventura nei mari del sud. "Pirates" è infatti il brano più smaccatamente cinematografico del trio con la musica tutta al servizio del plot, concepito da Lake e Sinfield, narrante le gesta di un Pirata inglese del 17° secolo. Sebbene non raggiunga minimamente le vette emozionali di "Karnevil 9", la musica risulta perfettamente adeguata al tema scelto. A partire dall'overture che rievoca i rumori delle onde in tempesta (con i brillanti timbri del sinth Yamaha che si fondono a meraviglia coi colori orchestrali), alla "vocal interpretation" di Lake (la cui voce riverbera grintosa con quel tono eroico alla Errol Flynn in "Captain Blood), alla parte finale in cui finalmente il trio comincia a rockeggiare un pò rappresentando la frenesia del pirata ansioso di godersi il suo bottino.
E così, giunti faticosamente ma eroicamente alla fine di questo lungo track-by-track, che giudizio dare a quest album? Prolisso, manierista, magniloquente non posso negare che (almeno un pò) lo sia. Devo anche dire che avrei preferito che gli ELP avessero continuato sulla linea di Tarkus e Brain Salad Surgery piuttosto che cedere alle tentazioni sinfoniche, pressochè abbandonando, tra l'altro, il suono caldo e avvolgente dell'organo Hammond. D'altro canto però la principale scommessa fatta quì dal gruppo (espandere le possibilità armoniche della musica amalgamando il loro sound con l'orchestra) mi sembra in gran parte vinta, in particolare negli ultimi due brani che ritengo fra i più riusciti esempi di rock orchestrale degli anni '70. Pertanto per me Works è un disco che, nonostante non sia affatto un capolavoro, merita ampiamente la sufficienza. "The show that never ends" stava per concludersi ma quegli ultimi fuochi erano sempre uno spettacolo!
VOTO: 7,5
Carico i commenti... con calma