Son sette mesi che non scrivo una recensia, essendomi trovato nel bel mezzo del classico periodo de-esistenziale del de-recensore. Mi sono chiesto, ma perchè parlare di musica se poi non posso ballare di architettura? Poi ci ho pensato male e ho capito che sto passando un periodo esistenziale dacchè esisto, ma se esisto perlomeno questo è buono, dunque se de-esisto è pure buono, e se è buono sta di certo tra il sufficiente e il distinto, il che mi da un buono per de-scrivere un'altra recensia su debbaser.

Quest'oggi, cioè il giorno della befana, voglio parlare di questa tizia inglese sufficientemente carina, coi capelli neri e gli occhi cerulei che fanno tanto sesso vampirico. Piaciuta distintamente anche alla stampa inglese che non ha perso tempo ad etichettarla come la "james Blake" donna, in realtà lei ha ben poco in comune con quel lamentoso ragazzucolo castano (il quale, stando ai deludenti ep successivi, ritengo essere già bollito salvo imprevisti dell'ultimora). Ciò che li lega il genere Dubstep, perchè il ritmo sincopato e i bassi fuckyeahbassi sono quelli, ma poi stop. Là dove Blake si rifaceva al cantato soul, al minimalismo dubstep e alla peperonata del giorno prima, questa Emika si rifà alla techno berlinese più oscura (è lì che vive e lavora oggigiorno), al trip hop bristoliano più oscuro (di fatti è nata a Bristol) e probabilmente anche ai suoi giovanili studi classici più oscuri, perchè l'oscurità, si sa, è figa. Il risultato di questa commistione di generi (soprattutto trip-hop e dubstep, l'avevo già detto a suo tempo che godrei volentieri come un porcellino se i due generi si fondessero) sulla carta non può che essere una cosa ottima, se non addirittura eccellente. Dico sulla carta però, perchè a conti fatti questo disco provoca una noia, un senso di deja vù, un senso di inconsistenza, un senso di inculata potente con vasella, che così non provi dolore (o almeno questo dicono, non mi intendo di inculate, e questo è eccellente) come non mi capitava dai tempi di...James Blake? (e dire che quello mi era anche piaciuto...).

Ma cerchiamo di spiegare meglio PERCHE' questo disco tende a dirigersi costantemente verso il vostro di dietro, dopotutto se questa donna mi ha svegliato dal torpore de-recensoreo si merita di essere analizzata a dovere, no? 1) eccessiva ripetitività delle composizioni, tutte estremamente minimali (batteria elettronica idiota, bassi ohmygodbassi, pallosissimi synth a fare da meodia, rumoretti minimal, ironici giretti di piano da sbadiglio, voce sofferente che fa tanto figa) 2) la disillusione: parte "3 Hours" e dici "oh che figata sto pezzo tira davvero!" (ma nel mentre sbadigli) poi arrivi a fatica, dopo una "Common Exchange" che riesce a fare atmosfera (ma nel mentre si dirige pericolosamente verso il tuo posteriore) a "Professional Loving", un pezzo che ricorda maledettamente i Portishead, per atmosfera e cantato, e hai già un sorriso sulla bocca...il tutto compreso di giretto di piano alla fine. Quindi ecco che parte la pacchiana "Be My Guest" e ti ricade di nuovo il sonno letargico. E continua, tra alti poco alti e bassi troppo soporiferi, fino a che non lo ascolti cinque volte e capisci che no, non è decisamente il capolavoro che ti eri aspettato, ma nemmeno un buon disco per restare svegli. 3) idee mal sfruttate. Non in tutto il disco, per carità, ma per buona parte. In pratica suona sempre algido, ghiacciato e frigorifero peggio di The Last Resort di Trentemoller.

Tutto il calore che potrebbero dare il pianoforte e i bassi holyshitbassi viene portato via dal minimalismo, dall'utilizzo parossistico di suoni elettronici fintissimi (i classici suoni dello scarico del cesso usati soprattutto per la minimal-techno più buzzurra), e dalla scelta di non utilizzare nessun cazzo di campionamento, nè una chitarra, cosa che distanzia Emika in negativo sia dai Massive che dai Portishead. Come dite, questo è il futuro, sono rimasto troppo indietro? affanculo il futuro allora! troppo semplice cazzeggiare con un laptop e un piano (vero signor Blake?) e pretendere di fare dubstep DA ASCOLTO, ben altra storia è avere una band con le palle e pretendere di fare hip hop da ascolto. Sbaglio forse? 4) là dove le buone atmosfere dubstep e la buona voce Gibbosiana sprofondano in un mare di cazzume elettronico, nemmeno i pezzi idm-techno riescono a decollare, e pur non ritenendomi un cultore credo di averne ascoltata a sufficienza di elettronica nella mia vita per sapere cosa dico. Siamo più o meno ai livelli di inconsistenza della Ellen Allien di Sool.

CONCLUSIONE: ennesime ottime premesse ed ennesima occasione mancata di rivoluzionare un genere che forse non capirò mai a pieno nella sua esasperata minimalezza, ma che probabilmente non è destinato a produrre CANZONI (perchè è di questo che stiamo parlando) che resteranno nella storia. E mentre aspetto disperatamente un nuovo disco di Burial, pur non apprezzando totalmente nemmeno lui, garbatamente scorreggiando sopra quegli insulsi (chi più chi meno) di Jamie Woon, XX, King Midas Sound, SBTRKT, vi passo la palla e vi chiedo qualche suggerimento dei vostri, magari il meglio me lo sono perso e vaneggio come un pirla. Anche perchè in realtà io alla dubstep ci voglio bene. E distintamente anche.

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