Napoli, vista dall'alto, assomiglia ad un cervello. Un cervello deforme, sicuro. Un cervello con qualche escrescenza e qualche rigonfiamento di troppo che poi fissi bene, metti a fuoco, e si trasformano in palazzi e quartieri che fino ad un secondo prima non immaginavi fosse possibile costruire. Napoli sembra un cervello con l'emisfero sinistro rivolto verso il mare e l'emisfero destro verso il mondo e in mezzo una linea che li separa. Quella linea è un dritto e oscuro vicolo, quel vicolo è spaccanapoli e dove spaccanapoli si incontra con piazzetta Nilo c'è un cappella dal sapore kitsch - kitsch almeno quanto la stessa parola kitsch -, con quei colori smaltati che non possono non essere usciti dagli anni 80. Al centro di questa cappella c'è un miracoloso capello di Maradona sotto vetro. Ovviamente nessuno sa niente riguardo l'autenticità, ma nessuno ferma i turisti tedeschi che passando di qui, dopo aver fotografato i presepi, i vicoli e i vestiti stesi, fotografano la cappella. I pochi inglesi che vengono a Napoli qui non ci vengono, ma meglio così... che non vengono a Napoli, intendo.

Fossi in voi, io non mi preoccuperei dei Maya. Piuttosto mi preoccuperei se non avessero ragione. E' già successo, così dicono. Si calcola che nel momento in cui Maradona segnò il secondo goal all'Inghilterra un miliardo di persone saltarono contemporaneamente senza intaccare la rotazione dell'asse terreste. In quel miliardo di persone vanno contati tutti i latinoamericani, tutti gli africani, quasi tutti gli asiatici o almeno quelli che hanno smesso per un attimo con gli inchini e tutti i napoletani. Ad occhio e croce sono più di un miliardo, ma voglio essere ottimista. In pratica tutte quelle persone e quei popoli che hanno subito l'invadenza, l'interesse e i soprusi di un fantomatico Nord che ogni tanto, quando c'è da mangiare, mette fuori prima la testa e poi l'uccello.

Maradona guarda fisso Emir Kusturica e glielo dice con semplicità assoluta: "siamo andati a Torino e gli abbiamo fatto sei goal... sei goal alla squadra dell'avvocato Agnelli... sembrava impossibile che una squadra del Sud potesse battere una del Nord." Emir Kusturica lo segue per due anni, lo segue in silenzio come il guaglione del barbiere che sta dritto e dietro al proprietario e cerca di rubargli i segreti del mestiere. E fa bene Emir Kusturica perché lui è serbo, non è proprio Sud geograficamente parlando, ma comunque è trattato da meridionale e le sue scarpe da risuolare mi danno ragione. Lo segue per due anni, dicevo, tra chiese maradoniane e orologi di dubbio gusto. Lo segue dal Maradona di cento chili, a quello morente, passando per quello che partecipa alla marcia contro Bush, accusato di essere solo un criminale di guerra, un porco. Lo segue notando che Maradona altro non è che una parte contenuta in ogni uomo, quella parte che sogna di nascere di capolavoro, d'essere un genio che poi è la stessa parte in cui un po' tutte le persone stipano la creatività e la rabbia e che condividono sempre più raramente con il loro prossimo.

Il girato passa da Buenos Aires a Napoli, da Belgrado a L'Avana mentre Maradona gli mostra i tatuaggi con il nome delle figlie, quello con la faccia del Che e quello con la faccia di Fidel. Allora Kusturica gli dice: "Una volta Gabriel Garcia Marquez mi disse che se gli americani non vi fanno parlare in inglese è perché c'è Fidel." Maradona lo guarda, non credo sappia chi è Marquez, almeno così sembra dallo sguardo, ma aggiunge che lui per Fidel darebbe la vita, che è l'unico politico con due palle così, che ha difeso il suo popolo, che ha fatto tutto per il bene del suo popolo e che se non fosse stato un calciatore sarebbe stato sicuramente un rivoluzionario. Kusturica, invece, dice che se fosse stato un gruppo rock sarebbe stato certamente i Sex Pistols.

Il documentario alterna scene di vita quotidiana assolutamente normali per Maradona, ma del tutto straordinarie per un essere qualsiasi. Alterna alle sue gesta sportive i suoi ruspanti pensieri politici, trasformando il saper giocare a pallone nel saper, ingenuamente, pensare. In fondo il calcio è un linguaggio e saper parlare vuol dire saper pensare e Maradona non pensa, ma parla, in flusso di coscienza che abbina la puttanata alla critica raffinata, senza censurare né l'una né l'altra. Anzi, lasciandole libere di incontrarsi a distanza di minuti, lasciandole libere di ballare con la retorica e con il populismo dei pensieri poco arditi, ma spesso necessari.

Kusturica ama Maradona e l'ha capito. Ha capito Maradona. Gioca con le immagini, con le sequenze, come Maradona giocava con il pallone e con la vita, passando dal tragico al comico come nella musica balcanica è abitudine. Emir Kusturica inonda il suo film di odori, gli odori della strada che percorre, delle persone che incontra, dell'odore di sudore di un Maradona ciccione che guarda fisso nell'obiettivo chiedendosi se tutto questo è una disgrazia o una fortuna.

Le parole più belle le regala Manu Chao che in un orrenda canzone dice che se fosse lui ad essere Maradona, vivrebbe esattamente come Maradona.
Non so chi è questo Manu Chao. Una volta ha suonato in Piazza del Plebiscito e io non ci sono andato. Non ricordo perché non c'andai e ora non so chi è e cosa vuole, ma in poche parole ha riassunto tutto quello che ho fin qui detto. Goal per lui, in onore al dono della sintesi. Partita vinta a tavolino per Kusturica e per Diego.

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