Per chi dieci anni fa ha amato il drum’n’bass e le sue digressioni espanse in territori d’ambiente, malati del ritmo spezzato che aggrottano le sopracciglia con sufficienza davanti al techstep e alle sue derivazioni monocordi e ripetitive.

Per chi non strilla alla lesa maestà nel sentire la voce ultraterrena di Bjork rinchiusa in un blocco trasparente di furibondo glitchcore.

Per chi si bagna con tranquillità nella corrente impetuosa di una cassa gabber a 200 BPM.

Per chi ama l’hip hop più sporco e gode degli incroci di stile, il prodotto ne dovesse anche essere un bastardo dall’obliquo sguardo noise e la pelle iscurita dal più torrido raggamuffin di Montego bay.

Per chi insomma getta l’occhio sul baratro dove le scosse telluriche di un basso di profondità inaudita attivano le peristalsi, e ci si butta a capofitto incapace di tenere a freno le gambe, ecco, per tutti questi devianti, relitti della club culture, stravolti di autostrade notturne, viaggiatori da divano, renifleuristi delle basse frequenze, immobili ballerini interiori, macilenti atleti della pupilla dilatata, per loro, Enduser confeziona una pillola dall’inconfondibile sapore amaro tagliata su misura per tali cinici palati.

Le influenze che questo manipolatore – née Lynn Landafer – cita sono chiaramente i punti di riferimento dai quali partire per farsi un’idea di questo lavoro: KRS One, Photek e Skinny Puppy. In effetti però l’ampiezza è tale da coinvolgere necessariamente una pletora di stili che non è facile riassumere. Il drum’n’bass rappresenta l’asse portante di ogni composizione, e sebbene per comprendere le coordinate si debba risalire ai tempi d’oro di questo stile (siamo dalle parti di Roni Size e degli WE del capolavoro "As Is") i pattern ritmici sono decisamente più brutali e frenetici (Animals on Wheels può essere un nome che sale alla mente, ma anche Christoph de Babalon) e pronti a esplodere in cavalcate gabber subito mutilate da cesure di rumore bianco.

La ambient fa capolino, e nemmeno troppo di lontano, soprattutto con dilatazioni e momenti interlocutori che preannunciano il (ri)scatenarsi dell’inferno sonoro. Su questo sostrato, si appoggiano voci campionate in gran quantità. E in effetti per essere un disco strumentale, è un bel po’ cantato. Il rap e il raggamuffin, come stili vocali, la fanno da padrone, ma ci sono anche artiste di purezza cristallina (la già citata Bjork) o voci velocizzate e brutalizzate come nell’apocalittica Rohypnol Beats. Diciamo che dopo qualche pezzo si intuisce che la struttura delle canzoni è sempre la stessa, ma ciò non toglie granché a un’opera che non di testa vive, bensì di gambe. Contrariamente a molte produzioni classiche di drum’n’bass, nelle quali i suoni si presentano isolati, come rarefatti, qui lo spessore, la stratificazione, sono talmente densi di frammenti acustici da conferire al tutto una caratteristica di spossante e claustrofobica pienezza, il che, unito a ritmi frenetici e senza la minima paura della velocità, definisce i contorni di un’opera di ascolto non facile.

Rispetto a produzioni breakcore più famose tipo Boxcutter o Vex’d, il mostro Enduser si presenta come un’entità di furente brutalità, assolutamente lontana da qualunque compromesso, e il fatto che, alla fine, si tratti precisamente di musica da ballo non fa altro che ingigantirne il valore. Killah!

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