Se tutte le menti più malate della storia si dessero convegno in qualche oscuro sotterraneo, e lì, al riparo dallo sguardo del mondo, dopo aver assecondato ogni loro più assurda fantasia, dopo essersi abbandonate agli atti più atroci, dopo aver bestemmiato in ogni modo possibile Dio, la Vita e la Natura, prendessero strumenti e spartiti e, le mani e le labbra viscide di sangue, i denti contratti in ghigni spaventosi, iniziassero a saturare l'aria di insensate note, di cori blasfemi e sguaiati, non renderebbero alla loro musa ispiratrice, la Follia, un omaggio più grande di quello tributatole dagli Enochian Crescent in tredici anni di attività musicale.
E forse spiegare l'evoluzione che ha portato questa band finlandese dalla visionaria schizofrenia di "Telocvovim" alla ritualità folle di questo "Black Church", passando per la terrificante assurdità del magnifico "Omega Telocvovim", non sarebbe meno complicato che illustrare i tortuosi meccanismi che portano un uomo comune a divenire un pazzo assassino.
C'è qualcosa che sfugge negli Enochian Crescent. Come un passaggio logico, un nesso che, se afferrato, permetterebbe di comprendere appieno l'opera allucinata di Dark Wrath e Victor Floghdraki (rispettivamente voce e chitarra, nucleo portante della band sin dal 1995), ma che continua a rimanere al di là della normale percezione, lasciando lo spettatore attonito di fronte ad ogni nuovo capitolo.
E' esattamente questo che si prova passando dalle note finali dell'ispiratissima "Grey Skin", pezzo conclusivo di "Omega Telocvovim", all'attacco roboante di "Tatan", cui è affidata l'apertura di "Black Church". I ritmi sono serrati, caotici; sopra il tappeto di doppia cassa le chitarre tessono melodie dissonanti, accompagnando il febbricitante cantato di Dark Wrath. Ogni rallentamento, ogni spiazzante passaggio chitarristico evoca quelle atmosfere insane che da sempre impregnano le composizioni degli Enochian Crescent.
L'elemento innovativo risiede stavolta nell'incedere cantilenante delle melodie, cui la voce si unisce creando un pathos rituale, celebrativo. Una lunga, violenta, tormentata preghiera a qualche idolo idiota circondato da torme di folli adoranti. I toni diventano ancora più particolari in tracce come "Thousand Shadows", in cui riff acidi e ossessivi introducono rallentamenti inquietanti, su cui la voce recita un allucinato sermone.
Ancora diversa è la devastante "The Imperfect Vision". Introdotta dal raccapricciante intermezzo di "Ghost Of Saturn", è qui che la schizofrenia compositiva di Floghdraki trova il suo apice. Le chitarre si intrecciano e si rincorrono in dissonanze stridule e assurde, evolvendo in passaggi granitici cui fanno da contrappunto momenti più cadenzati, accompagnati da inserimenti corali. Come in ogni altra parte del disco, il lavoro del cantante è di ottima fattura. Dark Wrath alterna scream rantolanti e sguaiati a cantati più harsh, sovrapponendo le voci fino dare alla traccia il sapore di un allucinante inno religioso.
Chiude questa alienante esperienza la mestosa "Black Church", la punta di diamante dell'album. I riff lenti, morbosi, accompagnati da un contrappunto di basso dai toni cupissimi, si snodano lungo una doppia cassa ossessiva. Il ritornello esplode come la naturale conseguenza del pathos crescente. E' un'estasi mistica quella che pervade la voce di Dark Wrath nel celebrare il culto della Pazzia e la sua ambigua e inquitante divinità, aberrante incarnazione di tutte le nevrosi.
Questo "Black Church" rappresenta, a mio avviso, una delle ultime frontiere nel campo della musica estrema; l'assimilazione è stata difficilissima e l'ascolto si rivela ogni volta spossante. Ma è un misero prezzo da pagare per accedere alle torturanti delizie di questo viaggio nei meandri più cupi della mente umana, dove si annidano le angoscie più recondite e i desideri più inconfessabili.
Iniziatevi alla Follia. Iniziatevi alla Chiesa Nera.
"Another Black Church for the Other God, another Black Church for the Dark Lord..."
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