Difficile parlare di Enrico Ruggeri senza essere presi a pernacchie. Eppure, ne vale la pena.
Difficile perché il personaggio ha avuto un bel po' di fasi, e si è alienato spesso le simpatie di chi frequenta la musica d'autore. Credo che nel suo caso si possa parlare di autentica schizofrenia. Forse è un genio, forse un paraculo, forse entrambe le cose.
Cantante non virtuoso ma funzionale, nella sua carriera ha giocato con il punk (tra i primi in Italia, sicuramente il primo a creare provocazioni situazioniste alla McLaren di una qualche efficacia), la musica d'autore, il foklore est-europeo, i cantautori francesi, il glam e quant'altro. Nei suoi testi ha citato Wilde, Omero, Tolstoj e Nietzsche. Si è permesso di tradurre (splendidamente) un brano di Tom Waits ("Con la memoria/Foreign Affair") e di scrivere autentici obbrobri nazionalpopolari come "Si può dare di più". Ha dato grandi brani alla Berté ("Il mare d'inverno"), alla Mannoia ("I dubbi dell'amore", per citarne solo uno che non sia il solito "Quello che le donne non dicono").
Anche politicamente il ragazzo assume posizioni sghembe, dagli inizi decisamente di destra ai recenti impegni con l'associazione "Nessuno tocchi Caino" contro la condanna a morte. Le traiettorie laterali sono il suo pane, e lo hanno portato a scrivere gradevoli libri di racconti come "La giostra" e "Piccoli mostri", a partecipare come presentatore a discutibili cloni di Voyager ("Mistero") e, infine, ad atterrare sulla plancia di X-Factor come giudice, appena in tempo per farsi dire da mille pischelli che non è un autore importante come Morgan. Affermazione assai discutibile, che lo stesso Morgan potrebbe confermare, visto che Ruggeri nell'arco di più di vent'anni ha scritto pagine memorabili che anche Mr.Castoldi ha dichiarato di ammirare. Lucido, freddo, intelligente, mai banale, non "simpatico", spesso cinico e ironico, secondo me è uno dei personaggi più strani della musica italiota, di solito facile da etichettare. Se dovessi consigliare un disco a un neofita per levargli l'amaro in bocca lasciato da "Si può dare di più" e "Mistero" sceglierei sicuramente "Enrico VIII/Difesa Francese". L'anno è il 1986 e Mr.Enrico sta per abbandonare gli occhiali bianchi che sono diventati il suo marchio di fabbrica. Ma prima dà alle stampe quello che è forse il suo disco più elegante: "Enrico VIII".
Enrico VIII
La copertina, la sola disegnata della sua carriera solista, rappresenta Enrico camuffato da re Enrico VIII, per celebrare l'uscita di quello che è il suo ottavo album in studio. L'apertura è sconvolgente: "Con la memoria" è la traduzione, delicatissima, di un brano di Tom Waits ed Enrico affronta un mostro sacro con rispetto e cura. Il risultato è praticamente perfetto. Segue "Non è più la sera", riflessione ironica sulla fine dell'adolescenza e l'arrivo dell'età adulta. Il suono è caldo e la stampa, all'epoca, azzarda paragoni con Fossati e Paolo Conte. Ruggeri smentirà tutti scegliendo, in seguito, una vena più tipicamente rock e, secondo me, molto meno particolare. Ritmo e ironia splendono anche in "Je t'aime", delizioso ritratto di un uomo che, soffocato dalle attenzioni della sua compagna, fugge usando la più classica delle scuse.In questo disco non ci sono pause, al rock cadenzato de "L'uomo che ami" risponde il passo swingato de "La bandiera", l'intimismo di "Non finirà" fa da contraltare alla scanzonata "La carta sotto".
I testi sono pensati fino al minimo dettaglio, e raccontano storie quotidiane senza mai cadere in luoghi comuni, con metafore spesso legate al poker, agli scacchi, allo sport. Per finire, in questo disco c'è anche uno dei brani più belli della musica italiana di tutti i tempi: "Il portiere di notte". Un testo notturno e ispirato, una melodia che anche Mina vorrà sfidare in una bella interpretazione. In bilico tra rock, swing e ombre di jazz, "Enrico VIII" è musicalmente il disco più raffinato del cantautore milanese.
Difesa francese
Agile Ep uscito dopo la partecipazione a Sanremo con "Rien ne va plus", brano pieno di fumose atmosfere da bistrot parigino con un testo straordinario (vincerà il premio della critica), "Difesa francese" deve il suo titolo a una mossa degli scacchi e schiera una manciata di canzoni molto diverse tra loro. "La medesima canzone" ha un passo da rock melodico e parla di follia con grande sensibilità, "La prima sigaretta" è uno struggente quadretto adolescenziale rivisto con gli occhi dell'adulto, "Dalla vita in giù" parla con sarcasmo di un'avventura amorosa su una base spagnoleggiante, "Gli uomini piccoli" racconta in un testo che trovo straordinario le vite devastanti di quelli che non prendono mai una posizione che non sia di convenienza. Unico passo falso, a mio parere, "Cuba", che su una base rock abbastanza tradizionale si addentra in modo un po' macchiettistico nella descrizione di quest'isola a metà tra comunismo e sfruttamente turistico.
La scrittura di Ruggeri è comunque ai suoi massimi, è sciolta e naturale, fa concorrenza ai migliori autori italiani. Peccato che sia l'ultima volta: dal 1987 in poi Enrico continuerà una carriera soddisfacente e spesso riuscirà a dare ottime "zampate" scrivendo altre splendide canzoni (penso a "Il fantasista", "Gimondi e il cannibale", "I dubbi dell'amore", "Prima del temporale", "Trans") ma non riuscirà più a dare alle stampe lavori così completi e poetici. In compenso il successo commerciale, fin qui relativo, gli sorriderà con dischi meno particolari ma ben scritti e sicuramente più immediati come "Peter Pan" e "Il falco e il gabbiano". I maligni sostengono che la miopia e gli storici occhiali bianchi, un po' come i capelli di Sansone, fossero in parte responsabili della sua ispirazione. Io credo invece che la voglia di Ruggeri di far uscire metodicamente un disco all'anno sia stata il suo massimo limite e lo abbia portato col tempo a dare alle stampe lavori non del tutto compiuti. Rimane comunque tuttora, a mio modesto parere, la più bella penna del rock italiano insieme a Fausto Rossi, Emidio Clementi e Giovanni Lindo Ferretti.
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