Le lunghe passeggiate nei parchi silenziosi del Nord portano alla mente memorie, ricordi di un passato nebuloso, un passato nel quale il Settentrione era un sogno sfuggente ma carico di passione, raggiungibile solo attraverso lunghe letture e musica arcana.
"Frost" dei norvegesi Enslaved incarna l'anello di congiunzione tra immaginazione e realtá, é un lavoro che porta la mente a viaggiare, a riempirsi di sensazioni reminiscenti un passato mai visto, mai conosciuto ma tenebroso ed affascinante allo stesso tempo. Esce nell'oramai lontano nel 1994 e vive di quelle atmosfere epico-funeree che hanno fatto la fortuna del metal nordico, si trascina quell'alone di mistero di gotiche cavalcate tra tombe vichinghe, torce nella nebbia e solitari villaggi di pescatori dimenticati dal mondo.
Reduci dai consensi dell'ottimo "Vikingligr Veldi" gli, allora, giovanissimi vichinghi di Bergen si presentano con un platter che entrerá di diritto nella storia del black metal e ne amplierá gli aspetti lirico-strumentali fino a rendere popolare un sottogenere giá fondato negli anni ottanta dai Bathory, l'oramai pluri decorato (e scimmiottato) viking metal.
L'inizio é soffuso, un introduzione di lugubri tastiere e synth sognanti come un veleggiare tra i pomontori uggiosi delle isole Fär Oer, remando nel silenzio tra strida di uccelli e rumori sinistri prima che una colata di lava elettrica scarichi la sua furia sul paesaggio immobile..."Loke"! Temibile il riff iniziale si scarica selvaggio e malsano come un fulmine a ciel sereno per lasciare spazio alla batteria di Torson in un contesto di velocitá assurda ed incontrollabile ove le urla sputate di Kjellson vengono trascinate dal vento tra i fiordi. Il suono é raggelante, le melodie inconcepibili, dolore ed epicitá si fondono e danno origine a visioni confuse di battaglie ed inganni, come al personaggio piú misterioso e cangiante della mitologia nordica si addice.
"Fenris" ci parla del chaos, dell'ultimo giorno sul pianeta, del Ragnarök che fará crollare il mito nell'ombra.. la narrazione iniziale fá correre i brividi lungo la schiena, la voce ispirata di Grutle si spegne ed un riffing thrash imbevuto nei suoni "tremolo" dei Grieghallen si contorce mellifluo. Una pausa acustica d'effetto e l'ugola rantolante del norvegese cammina di pari passo con chitarre acide ed accelerazioni da rimanere sconvolti, con un finale sinfonico di classe nel quale keys quasi ambient sostengono la velocitá folle delle rimiche ed il ronzio perenne della chitarra di Björnson.
La rabbia é ancora inespressa.. quindi i pugni serrati di "Jotunblod" e "Wotan" ci tormentano per dieci minuti di unghiate nel ghiaccio, blastbeats furenti, riffs sepolcrali e taglienti con brevi accenni di tastiera giusto per lasciarci respirare un secondo. Il tutto riesce a rendere visibili le lande abbandonate al deserto lavico in Islanda, la forza di una natura asciutta, fredda ma stracarica di energia e sentimento.
La scaldica "Yggdrasil" é una dolce pausa di riflessione in mezza a cotanta furia belluina. Gli aggrazziati arrangiamenti della sei corde, il cantato per una volta pulito, profondo e sicuro, una nenia dove fanno capolino strumenti tradizionali a bocca, toms solenni ed una ascia elettrica lamentosa che funge da tappeto per questa ballad ancestrale.
Se "Gylfaginning" ha giá allentato la morsa con rallentamenti doom-epic metal uniti ai soliti riffs spaccapietre tipici delle formazioni di Bergen, il finale si riempe di poesia e solitudine con le strutturata "Isöders Drönning". Un giovane donna del nord, la regina del freddo lascia correre il triste sguardo verso strapiombi e cascate, sola in un dolore che macchia i boccoli biondi di velenosa nostalgia. Tante idee in ques'ultimo inno, partiture acustiche brillano tra tastiere "antiche" e riffs solidi come le pareti di un castello di marmo, malinconia ora sussurrata, ora urlata nel vuoto e l'eco di accelerazioni che stodiscono per l'ultima volta.
Se siete ancora con me dopo questa lunga cavalcata vi consiglio di recuperare questo gioiello di nordico fulgore sospeso tra grezze sfuriate black metal ed epicitá cavalleresca, di acquistare un biglietto per l'Islanda, la Norvegia o le Fär Öer ed una volta raggiunte lasciate fluire le note ed a loro abbandonatevi tra i cieli tersi dell'emisfero boreale.
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