Non so a voi che effetto fa il nome "Enslaved", ma a me incute sempre un certo timore reverenziale... E questo non solo perché ci si trova di fronte ad uno dei nomi più importanti di sempre del metal, in particolare di quello estremo. I Nostri sono infatti molto di più che semplici padri putativi del cosiddetto "viking metal" (anche se, come mi farà giustamente notare qualcuno, l'origine del genere va fatta risalire ai Bathory) perché, di fatto, da alcuni anni sono proprio loro a mettere continuamente in discussione, a livello stilistico, ciò che hanno creato. E' vero che il viking, in linea di massima, non è un genere musicale perfettamente codificato e che i legami tra le sue varie incarnazioni sono di carattere tematico, ma è anche vero che nessuno lo ha mai interpretato e modernizzato come gli Enslaved.

Personalmente, ho sempre ammirato la testardaggine e la voglia di sperimentare di questo gruppo che, fin dal grezzo debutto "Yggrdrasil", non ha praticamente punti deboli nella propria discografia: col tempo ha perso dei vecchi estimatori ma ne ha guadagnati di nuovi, ed il suo modo di evolvere è sempre stato foriero sia di polemiche, che di nuove e stimolanti discussioni. Senza voler continuare all'infinito il mio panegirico sui Nostri e sembrare così troppo di parte, vorrei solo ricordare che l'autentica svolta nel percorso artistico del gruppo viene comunemente fatta risalire all'interessantissimo "Monumension", in cui esso comincia a discostarsi in maniera marcata, senza però perderle di vista, dalle sonorità epiche (che avevano caratterizzato ad esempio lo stupendo "Eld") e dalle proprie radici black (più evidenti nel sanguigno "Vikinglir Veldi" e nel fondamentale "Frost"), in favore di un approccio "mistico" e musicalmente più complesso. Il sound, in precedenza fiero ed impetuoso, per certi versi "terreno" (nel senso che l'evocazione delle battaglie o delle gesta vichinghe veniva perfettamente reso attraverso la musica), diviene progressivamente più cupo, opprimente, sempre rabbioso ma più ragionato e contaminato da tentazioni progressive, sia nella scelta delle timbriche (chitarre molto effettate, ad esempio) che nell'intricata composizione delle ritmiche. Questo periodo, per così dire "interlocutorio" della band trova idealmente completamento nell'innovativo "Isa" che, assieme al successivo ed ottimo "Ruun" e a "Vertebrae" forma un trittico di valore inestimabile per l'evoluzione della musica estrema degli ultimi anni.

"Ma come accidenti è questo Vertebrae?" si domanderà, spazientito, qualcuno... Ancora un momento di pazienza. Va detto che senza "Isa" non avremmo avuto "Vertebrae", in quanto è solo a partire da quel disco che la band comincia a dare un taglio nettamente atmosferico alla propria musica, ad inserire delle parti più melodiche, a rendere più incisiva la presenza delle tastiere e delle clean vocals. E tutto questo grazie all'ingresso nella band di Herbrand Larsen, tastierista dotato di un incisivo growl ma anche di una bellissima ed eterea voce, e di Cato Bekkevold, batterista meno ingombrante dei precedenti, ma molto fantasioso ed ottimamente amalgamato con il resto della formazione. Su "Ruun", non c'è molto da dire, nel senso che esso rappresenta, con qualche affinamento, la logica continuazione di Isa, senza eguagliarne l'importanza solo per l'assenza dell'effetto-sorpresa.

E veniamo finalmente a "Verebrae. Con questo album, già al primo ascolto, ho capito di trovarmi di fronte all'ennesimo disco importante realizzato dagli Enslaved e, forse, ho cominciato ad intravedere il disegno che collega tutta la loro produzione artistica. Nella mia interpretazione, la loro musica si sta progressivamente "smaterializzando", sta diventando sempre più "essenza" e sempre meno forma, e l'immagine che mi compare idealmente davanti agli occhi è quella di un guerriero che, giunto alla fine della sua esistenza terrena sale lentamente al cielo in un cono di luce accecante fino a fondersi completamente con essa e a scomparire... quello che resta di lui è la sua essenza, il ricordo delle sue gesta e la sua eterna gloria. Gli indizi di questo processo di "trasfigurazione" della musica degli Enslaved, sempre meno "vichinga" nella forma ma sempre più grandiosa nell'essenza, si percepiscono già nell'opener "Clouds", in cui un iniziale tappeto sonoro simil-elettronico e rarefatto funge da anticamera ad un brano in cui l'indiavolato growl di Grutle Kjellson viene più volte costretto dalle decadenti ed algide vocals di Larsen, e dove le chitarre a più riprese devono rialzare il capo fiere e sofferenti (per tutto il disco il lirismo di Arve Isdal è davvero toccante). La successiva "To The Coast" si apre con il lamentoso e cadenzato canto delle due chitarre, mentre le growling vocals fanno il loro ingresso in lontananza, come un vento gelido: anche qui le parti vocali di Larsen, ora lamentose, ora più rilassate, hanno un ruolo fondamentale nell'intervallarsi a più riprese con le parti decisamente più tese, dove ancora si rinviene l'originaria attitudine black dei Nostri. Per riprendere la precedente metafora, sembra di assistere ad una continua lotta tra l'anima del guerriero che vuole dispiegarsi, libera dagli affanni terreni, ed il corpo, che non la vuole lasciar andare... "Ground" è un brano abbastanza immediato, sia per la netta predominanza delle clean vocals e di parti ritmiche non troppo elaborate, che per un (pregevole) assolo di chitarra di stampo "pinkfloydiano": forse poco amalgamato con il resto del disco, ma un esperimento tutto sommato riuscito. "Vertebrae" inizia con un tappeto ritmico molto sostenuto, delle note di chitarra via via sempre più dissonanti e delle voci sussurrate, fino all'inserimento della voce acida e violenta di Kjellson, che entro breve lascia spazio alla seconda parte del brano, dove le clean vocals intonano una specie litania, adagiandosi su tastiere, chitarre appena distorte ed una ritmica che potrebbe ricordare gli Alan Parson's Project... Brano alquanto particolare e disomogeneo, ma a mio avviso ricco di fascino. Si prosegue con la frenetica "New Dawn", in cui sembra essere presente qualche tentazione death, soprattutto nelle ritmiche. In realtà, anche in questo caso è piuttosto difficile descrivere un brano che si presenta molto articolato: vale la pena di notare come il cantato in pulito, sempre molto efficace, sia supportato da tastiere dal sapore settantiano (chi ha detto "mellotron"?), alle quali è affidato il compito di chiudere la canzone in solitaria. Anche "Reflection" ha un mood molto vivace, anche se le combinazioni armoniche, talvolta dissonanti, ci ricordano che questo è pur sempre un disco nordico, pervaso da una vena malinconica di fondo. Qui, a mio avviso, è il lavoro di batteria a farsi interessante ed articolato, come del resto lo è in più punti l'esecuzione nervosa e spesso all'unisono di chiarre e basso (che insistono velocemente sulle stesse note "stoppate"): i chorus, sempre molto belli, ci traghettano verso la conclusione in un crescendo continuo, assistiti da tastiere via via sempre più in primo piano. "Center", col suo incedere quasi doom, sembra per un attimo voler smorzare il pathos accumulato finora: il brano è molto cadenzato e cupo, scandito da una voce sommessa e quasi declamante. Anche in questo caso si nota un crescendo, sia da parte degli strumenti che della voce, che però si arresta quasi subito per lasciare spazio alle sole chitarre e tastiera, chiamate a sorreggere ancora una mesta litania... Molto affascinante anche la conclusione, dove ancora una volta le clean vocals creano un'atmosfera sulfurea ed evanesente. La conclusiva "The Watcher" vede ancora l'alternanza tra momenti di furia controllata e bridges più distesi, in cui voce e tastiere sembrano un unico strumento: il brano dimostra un'attitudine sinfonica soprattutto alla fine (immaginatelo eseguito solamente da un'orchestra), dove il crescendo emozionale coinvolge tutti gli strumenti e le vocals, per poi interrompersi all'improvviso.

"Vertebrae" non è un disco facile (ma quale disco degli Enslaved lo è?), e per non liquidarlo come ennesima "buona uscita discografica" serve andare oltre, con attenti e ripetuti ascolti, come nel caso dei precedenti due album: il che è assolutamente normale per un gruppo che, come pochi (cito, a titolo di esempio, Vintersorg, Solefald e i defunti Arcturus), sa proporre della musica sì estrema, ma anche intelligente, innovativa e concettualmente molto ricca. Per quanto mi riguarda, ribadisco la mia assoluta ed incondizionata stima agli Enslaved, che non hanno mai perso fascino e che, pur divenendo altro da sé, hanno sempre conservato inalterato il loro spirito... cioè la loro essenza. Questo sarà forse immediatamente chiaro se ascolterete ancora la metafisica intro "Frost", dall'omonimo album: dopo il loro affascinante viaggio, gli Enslaved stanno infine tornando laddove tutto ha avuto inizio.

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