Con "Salvamm'o munno" Enzo Avitabile realizza il suo lavoro più riuscito e complesso. Utilizzando la collaborazione dei Bottari (ragazzi del Napoletano che conoscono magistralmente la logica del ritmo e se ne servono picchiando su delle botti bastoni più o meno grandi) l'artista napoletano ci introduce nel mondo della musica etnica del capoluogo campano. L'intero lavoro corre sul sottofondo palpitante di botti e bastoni, piattaforma ritmica sulla quale si innestano i contenuti melodici. Ma di melodia si può parlare solo mediatamente e solo riconoscendole un ruolo strumentale, in quanto l'opera di Avitabile è prevalentemente ritmica, di un ritmo trascinante, evocativo, cangiante,a tratti caldo e scanzonato, a tratti impegnato e malinconico, o ancora l'una e l'altra cosa a un tempo. Così è per il primo pezzo, "Abball'cu me", intriso di influenze mediorientali, che traspaiono dagli scambi vocali tra l'autore e la splendida voce di un muezzin dei nostri tempi, il tutto accompagnato dall'immancabile ritmo dei bottari e intervallato dagli assoli di un violino. La lettera del testo contrasta armoniosamente con il tono della parte melodica e col ritmo ostinato dei bottari, così che l'invito a ballare insieme trascende la connotazione modernamente goliardica dell'espressione per diventare evocativo di tradizioni remote, di un'epoca e di popoli che consideravano il ballo un rito sacro, capace di vincere le forze del male.
Nel secondo pezzo, “Tutt’egual’song‘e creature”, la voce dell’artista è accompagnata da una chitarra acustica gocciolante malinconia, e a tratti da un violino intonante melodie orientaleggianti. Il tema del testo è l’infanzia, spesso violata, degli abitanti più sfortunati del mondo.
Il terzo pezzo parla ancora, con allegria tristemente velata, dei più sfortunati, dei popoli dell’Africa, un’Africa bella come il sole e meritevole di essere “assaggiata”, come recita il ritornello-scioglilingua. Qui Avitabile è accompagnato dalla voce sottile di un sassofono, e non un sassofono qualunque, ma il suo. Oltre che, ovviamente, dai bottari.
Ne “A peste” Avitabile tratta il tema del Male nel mondo, che egli identifica con la peste. Il ritmo tenuto dai bottari è quanto mai palpitante e irregolare, perfetto per accompagnare la preghiera dialettale che costituisce il testo della canzone.
In “Salvamm’o munno” l’artista esordisce alla maniera di Endrigo proponendo una serie di deduzioni elementari, ma altrettanto poetiche e amene, sulla natura e sul mondo, preparando l’ascoltatore ai due ritornelli del pezzo, “simm’ tutt’uno” e “salvamm’ o munno”, ripetuti costantemente, accompagnati da un sassofono raggiante e deciso e scanditi da una voce che sembra africana.
"Canta Palestina” è una ballata malinconica che parla di pace, anche se questa parola non viene mai pronunciata. Si parla invece espressamente di speranza, speranza che lo strazio del Medioriente israelo-palestinese prima o poi abbia fine. La voce di donna somiglia a quella di Noa, la cantante israeliana.
Il testo di “Vott’ o sole arint’” è velatamente filosofico (“’o munno è nu panaro ca se sfonn’”), la musica allegra e molto ritmata, accompagnata dal sassofono, è forse la più “etnica” dell’intero album, l’unica che consenta all’autore e all’altro cantante, “Cincucient’”, di mischiare il quarto di tono arabo col tono delle esortazioni alla compera dei venditori nei mercati di frutta e verdura della Napoli vecchia.
La dylaniana (almeno nelle parole del ritornello) “Int’o viento” parla ancora e canta di Medioriente e di Africa. Immancabile, il tempo dei bottari trova temperamento nelle note di un flauto che, “indianamente”, completa l’atmosfera della canzone.
Come dice il titolo, “Tarantella bruna” è canzone ispirata alla tradizione popolare napoletana più delle altre. La voce dell’artista si sdoppia, e a tratti segue l’andamento ritmico dei bottari, a tratti accompagna la melodia della seconda voce, che canta africano.
“Paisà”, la decima canzone dell’ album, al cui spirito è perfettamente aderente nel testo e nella musica, è un inno alla solidarietà tra gli abitanti dello stesso Paese, traspirante echi di sofferenza e tristezza. Le stesse dei nostri compatrioti emigrati all’inizio del secolo scorso in tutto il mondo.
“Puort’ aller’” è a mio giudizio la canzone più bella dell’intero lavoro. Vi si parla di Napoli, semplicemente, come di un porto, allegro nonostante la camorra, la povertà, le disuguaglianze sociali, le disavventure quotidiane.
L’inizio di “Votta Votta” mi ricorda il noto ritornello popolare che dichiara il padrone uscito di senno. Stessa semplicità, stesso ritmo, ma diverse le parole, che inneggiano al lavoro nei campi, alla seminagione, alla vendemmia, come si evince dalle parole del ritornello: “vott’ vott’ ‘a vott’”.
Infine la versione “live” di “O Munno se move”, caratterizzata dalla spontaneità delle parole di incitamento al pubblico a partecipare col linguaggio del corpo all’ascolto della canzone. La voce di Avitabile, impegnata nella riproposizione ossessiva e molto ritmica di espressioni inventate, fa eco alle note del sassofono. Si tratta di una canzone priva di un testo coerente.
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