LEAVE THE BRONX
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IN ENCHANTING NEW MEXICO
Se cercate su YouTube troverete un video in cui il grande Enzo G. Castellari, pseudonimo di Enzo Girolami, spiega il sistema per capire immediatamente se un film valga o meno la pena di essere visto. Stando a questo suo metodo infallibile, il segreto starebbe tutto nel titolo del film. Se questo vi fa esclamare, ‘Mecojoni!’, allora ci troviamo davanti a un grande film; al contrario, se la reazione è, ‘E sticazzi?’, allora be’, sarà meglio passare oltre.
Adesso, a parte il fatto che mi sembra un metodo indiscutibile e scientifico, bisogna dire che nel caso di ‘Fuga dal Bronx’ (1983) Castellari doveva essere abbastanza convinto della riuscita del suo operato. Anche perché il film peraltro costituiva un sequel girato in fretta e furia di ‘1990 - I guerrieri del Bronx’, che era uscito solo un anno prima e di cui riprendeva sostanzialmente le stesse ambientazioni post-apocalittiche tipiche liberamente ispirate a ‘Escape From New York’ di John Carpenter e gli stessi contenuti di denuncia sociale e il mito della violenza e della anarchia e della ghettizzazione delle aree urbane più degradate delle grandi città di ‘The Warriors’ di Walter Hill.
Del resto, badate bene, il film è girato è ambientato negli USA solo per questioni promozionali. Chiaramente questo garantiva un richiamo maggiore di spettatori nelle sale (infatti i film ebbero un discreto successo). Ma se guardiamo le aree più degradate delle nostre periferie ci rendiamo conto che molti dei meccanismi di questo film, sicuramente forzati sotto certi aspetti, costituiscono qualche cosa che proprio in quegli anni si affermava in Italia, con la realizzazione di aree urbane che sono (tramite operazioni di speculazione edilizia e amministrazioni disgraziate) state costruite quasi scientemente per essere dei ghetti e che oggi in alcuni posti stanno buttando giù e demolendo proprio come le istituzioni vogliono fare in questo film del 1983 con il Bronx.
Una operazione di ‘disinfestazione’ guidata da dei miliziani (i ‘Disinfectors’) al soldo della multinazionale Manhattan Corporation, ha infatti la mission di radere al suolo l’intero quartiere per costruirvi una nuova area urbana futuristica destinata a essere l’ottava meraviglia del mondo. Ma alcuni abitanti del Bronx si ribellano ai Disinfectors e alle istituzioni. Si tratta di uno sparuto gruppo di persone che, ritiratisi a vivere nei sotterranei, una volta facevano parte delle gang della zona. Quando apparirà chiaro che non resta loro che combattere per opporsi alla distruzione delle loro case, emergerà come leader il giovane Trash, che già abbiamo conosciuto nel primo film e interpretato da Marco Di Gregorio aka Mark Gregory, che sfiderà direttamente le istituzioni andando a rapire il capo della potente corporazione.
La trama del film sta tutta qui perché il resto è costituito integralmente dalle scene di scontri tra gli appartenenti alle gang contro i miliziani e le forze di polizia. In queste scene, girate in maniera esemplare, Castellari mette in campo tutta la sua scienza e l’esperienza maturata in venti anni di film western e di polizieschi e nonostante la durata prolungata degli scontri (non senza spargimenti di sangue e atti di brutale violenza) riesce a non annoiare mai lo spettatore con sequenze filmate in maniera egregia e supportate da una adeguata colonna sonora (musiche di Francesco De Masi) la solita squadra di caratteristi, comparse, stunt-man. Nel cast c’è spazio per Henry Silva nella parte del cattivo, il capo dei miliziani Wangler, Giancarlo Prete, Antonio Sabàto, Enio Girolami. In una piccola parte recita anche la popolare attrice Moana Pozzi.
Quello che stona, in un film che comunque non ha chiaramente grosse pretese, è proprio l’attore protagonista (a parte un paio dì trovate evitabili e comunque non riuscite, tipo il bambino dinamitardo). Mark Gregory, che qui ha pure perso la muscolatura tipica del primo film, ha oggettivamente zero carisma e zero appeal per un film dove sarebbe forse bastato un protagonista all’altezza della situazione per far salire di molto il livello qualitativo. Che invece resta comunque basso. Nonostante infatti la riuscita delle ambientazioni e le eccellenti scene d’azione, un’idea di base in parte riciclata ma comunque interessante, manca qui quel qualcosa in più che poi alla fine fa la differenza tra un buon film e quello che alla fine resta solo comunque meritatamente un oggetto di culto.
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