Buona la prima. Forse. O forse è solo splendida recitazione. Vai a capire questi due vecchi furboni. Questi due geni che han saputo svolgere (e pare bene) ciascuno la propria professione finchè l'isterichetto mondo della canzone non li ha accolti a braccia aperte, non potendo far nulla per negare allora la loro genialità (forse oggi ci riuscirebbe…).

Fatto sta che non si capisce se questa sublime registrazione targata 2006, ovvero l'anno in cui entrambi possono definirsi goliardicamente ultrasettantenni, sia una ripresa di getto, immaginiamo dopo una giornata di assaggi di vini astigiani, tra le nebbie, naturali e artificiali, dello studio di Conte, o se sia una furba, eppure geniale, costruzione a tavolino.

Oggi come oggi, purtroppo, è difficile immaginare a qualcosa, qualunque cosa, nel mondo dello spettacolo, che non sia pianificato fin nelle virgole, nelle pausette o nei sussulti di stupore. C'è un sondaggio e un'indagine di mercato per ogni alzata di ciglia, si sa. Ma qui, in questa vecchia e nuovissima canzone, tutto suona incredibilmente vero, spontaneo, divertente e divertito. Dunque, propenderei per "buona la prima". Sia perché pare così anche ad un orecchio ormai abusato, sia perché i due, francamente, se lo possono permettere. Il tempo iniziale è dimezzato, e le armonie del brano sono stravolte lasciando spazio a un minore malinconico là dove trionfava un veloce e allegro maggiore.

Conte inizia la strofa con una voce da ubriaco che ce lo fa amare oltre ogni limite del consentito. Jannacci arriva subito dopo e fa quello che sa fare meglio di chiunque altro (e non sono pochi, sia nella musica che nel cabaret, che esplicitamente o meno tentano continue clonazioni): fa Jannacci. Tutta la prima parte del brano si trascina, faticosa e come dicevo malinconica e prevalentemente minore, tra qualche sbiascichìo e qualche urlo formalmente di troppo, ma sostanzialmente perfetto, fino a che il tempo raddoppia e la canzone torna, almeno in apparenza, quella di prima. Quella di sempre.

E lì si gusta questo brano perfetto e coraggioso, questo testo che solo una personalità immensa come Conte può permettersi di scrivere a cantare senza ritrovarsi femministe armate davanti al cancello di casa. Questa canzone che Jannacci nell'antichità ha portato al successo come interprete e Conte, in un'antichità solo un poco più recente, ha riesumato perfettamente come autore. Questa canzone che oggi li vede lì entrambi quasi a servirla. Quasi sia lei, oggi, a fare un piacere a loro. Algida e vera, e immutata nel fondo, a lasciarsi cantare dai migliori che l'abbian mai cantata.

E il clima da "buona la prima" viene fuori dal tiro goliardico che i due presentano sulla seconda strofa, dove un "Bartoli" tiene insensatamente il posto di Bartali, e dove i "francesi svolazzano" ("primo lapsus") e i "giornali s'incazzano" ("secondo lapsus"), e non viceversa. E ancora, e soprattutto, dalle gratuite eppure così sentite e significative urla finali. Cori sghembi e starnazzanti. Tutto imperfetto e quasi sbagliato. E invece oggi assolutamente perfetto e pertinente.

L'omaggio di due grandi a una canzone antica, a tempi andati, al rapporto con le donne che voglion far la pipì e andare al cine, e non capiscono il senso dello star lì e aspettare Bartali, in quel giorno che tramonta in arancione e si gonfia di ricordi che loro, davvero, non possono proprio sapere.

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