Enzo Maolucci "Barbari e Bar" (1978). Se è vero, e se lo dissero gli Area doveva essere vero, che nel 1978 gli dei se vanno e gli arrabbiati restano, insieme agli arrabbiati ci troviamo anche i barbari. E chi sono? Sono:

"Quelli con i capelli lunghi e l'orecchino e l'anima nel sacco pelo? No, i barbari sono... sono... sono i re del flipper 7635432 senza fare tilt e giù botte da orgasmo alla morbida macchina. I Barbari sono quelli che uccidono per colpa di una dose in meno, o di qualche diavoleria eroica, o perchè, nel compromesso storico ci stanno stretti. I barbari sono quelli che dicono la verità, dicono cose vere (ovvie)..."
Nel 1978 Enzo Maolucci è un barbaro di 32 anni, laureato con una tesi sui Beatles ed alle spalle un primo LP "L'industria dell'obbligo". Non credo si offenderebbe se venisse definito un cantautore rocchettaro comunista incazzoso. O almeno queste quattro paroline possono aiutare chi non lo conosce a farsi un'idea del personaggio. Maolucci è un cantautore perchè scrive testi e musiche, Maolucci è un rocchettaro, perchè "per cantare basta solo aprire bocca, per strillare occorre invece fiato, il fegato che scoppia, la musica che spara." Che sia comunista e incazzoso, beh, ve ne accorgerete subito.

 

L'album racconta in una manciata di canzoni l'atmosfera della Torino degli anni di piombo attraverso i bar e i loro assidui frequentatori, i Barbari appunto. Il Bar Elena, dove "La mia piccola 'coca' non c'era. M'hai venduto un pò di erbetta leggera.", o il bar di Vasco, rifugio dove "il decadente è ormai decaduto" e ci puoi incontrare "il regista che ha smesso di fare i films underground" piuttosto che le "menti migliori di generazioni che hanno sputato su banche e ospedali di droghe rabbiose ne han pieni i coglioni e far gli assistenti sociali, si sposano tristi e banali." Tutti chiusi dentro una "Torino che non è New York" divisa tra chi ammazza chi si ammazza e chi si fa ammazzare. Unica via d'uscita per il nostro Barbaro, è un gesto disperato, un'azione che lo liberi dalle catene. Ecco allora "Un giorno da Leone" trucida elencazione di rabbie finalmente sfogate o l'incredibile "Chi ha interrotto Stockausen" in cui l'autore racconta quando interruppe un concerto del grande maestro tedesco.

Tentativi rabbiosi di non uscire sconfitti da giornate scandite da orologi impietosi e rumori assordanti e molesti, dal trillo maledetto del mattino alla sirena della polizia. Giornate dove "il primo intervento contro il giorno è una bestemmia" con la consapevolezza che la propria storia personale è arrivata al capolinea, perchè: "è tempo delle carte a posto e di iscriversi al partito. A Londra nel '60, a Parigi il '68, e al bar sei finito."
Un disco importante, lucido come pochi, cattivo come nessuno.

Track List: "Torino che non è New York", "Al Bar Elena", "Un giorno da Leone", "Chi ha interrotto Stockhausen?", "Il Barbaro Ulisse", "Al Bar di Vasco"... E grazie Mille "Barbari e Bar".

Carico i commenti...  con calma