Uno dei dischi più malati della storia. So che forse questa affermazione farà storcere il naso a molti ma sinceramente non riesco a definire meglio questo lavoro, rispondente al nome di “Phormula” e nato dalle menti di un gruppo capace come pochi altri di spaccare in due la critica: gli Ephel Duath.
Il gruppo, formato allora da Davide Tiso alle chitarre e Giuliano Mogicato al basso, sintetizzatori, programming e voce, riuscì a proporre già da questo primo “Phormula” qualche cosa di nuovo nel panorama estremo, qualche cosa che fosse davvero diverso e che risultasse talmente tanto di rottura col passato da essere o amato alla follia o odiato in maniera viscerale. Il loro post-black metal assumeva infatti tinte prettamente progressive, grazie al continuo utilizzo di cambi di tempo, riffs ed assoli particolarmente elaborati ma anche atmosfere che ricordavano da vicino i grandi gruppi degli anni ’70.
E’ così che nel 2000 nasce il loro primo capolavoro formato da otto canzoni, tutte estremamente complesse e destrutturate fino alla fine, nelle quali in significato di canzone vista come un composizione di strofa-ritornello va letteralmente a farsi benedire, preferendo strutture più complesse, nelle quali spesso il testo assume la forma di un vero e proprio racconto. Musicalmente ogni track si distacca da quanto sentito fino all’ora, si passa dal black metal elettronico di “Embossed” che presenta al suo interno break strumentali da togliere il fiato, ma anche accelerazioni degne dei migliori Emperor (con le dovute differenze stilistiche), il tutto coadiuvato dallo screaming impazzito di Giuliano. Si toccano territori di black metal melodico con la seconda “The Greyness Grows Already Old” introdotta e condotta da un piano delicatissimo che si snoda attraverso riffs impenetrabili e una batteria sparata a velocità pazzesca, così come estremamente rapidi risultano essere gli assoli di chitarra posti nella seconda parte della canzone.
Da citare ancora risulta essere “A Flickering Warmth”, dotata di un appeal particolarmente scuro e maligno, che mette maggiormente in mostra la parte black della band, senza disdegnare però degli accenni elettronici, specie per quanto riguarda la batteria. Splendidi gli effetti di tastiera che tendono a rendere le atmosfere ancora più tetro. Un po’ come una mosca bianca troviamo poi lo strumentale “Myriad” dai toni quasi gitani, scandita da tamburi in sottofondo e condotta da una delicatissima melodia chitarristica che mostra come i musicisti abbiano un gusto nei confronti della musica davvero raro.
“Pursuing The Instinct” pensa a riportarci sui territori più prettamente black, rivelandosi come l’ennesima mazzata, sparata a velocità impensabili, che sostengono le vocals del cantante ancora una volta incentrate sullo scream. Estremamente atmosferico l’assolo di chitarra che rallenta leggermente il tiro, attestandosi su una velocità di esecuzione molto più controllata, preferendo sottolineare invece l’aspetto emotivo. Gli altri episodi pur presentandosi tutti in maniera estremamente positiva risultano però esser meno rappresentativi, attestandosi su livelli qualitativi più che buoni, peccando solamente un poco in varietà e presentandosi pressoché simili l’uno all’altro.
Tenuto conto che, escludendo il primo demo, questo è il primo lavoro sulla lunga distanza per questi padovani, il risultato finale non può che entusiasmare tutti coloro che amano la sperimentazione in tutti i campi musicali; questo non è un disco adatto a tutti, anzi, forse in pochi lo riusciranno ad accettare fino infondo, ma chi ci riuscirà resterà davvero estasiato sia dall’aspetto prettamente musicale, sia da quello tecnico, dal momento che i nostri tirano fuori una prestazione strumentale davvero ineccepibile e assolutamente esente da alcun tipo di critica.
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