Faccio il mio esordio in questo sito scrivendo di un disco, “Design your universe” degli Epica, di cui esiste già una recensione track by track. Ho deciso, per questo, di fare un discorso più organico su questo lavoro, il quarto in studio per gli olandesi, soprattutto in relazione al suo diretto predecessore “The Divine Conspiracy”.

Quest'ultimo era stato per me una piacevole sorpresa se rapportato ai due album precedenti: vi ho trovato un suono più “spesso” e pesante, anche grazie all'entrata nel gruppo di un nuovo batterista (Ariën van Weesenbeek, ex God Dethroned), molto più aggressivo e “sbrigliato” del precedente, maggior spazio concesso alle chitarre, pur nella quasi totale mancanza di assoli, buona articolazione ritmica dei brani (il miglior pezzo, da questo punto di vista, “Fools of damnation”), un cantato senz'altro molto migliore che in passato (il growl, invece, secondo me resta a livelli sempre piuttosto bassi!).

In “Design your universe” gli Epica hanno scelto, secondo me a ragione, di proseguire sulla strada intrapresa, avvalendosi inoltre dell'apporto del nuovo chitarrista Isaac Delahaye (anch'egli ex God Dethroned) che ha contribuito positivamente allo sviluppo delle linee di chitarra, con la comparsa degli assoli; la prova di Simone Simons è altresì ottima, specie, a mio avviso, nelle sezioni in stile non lirico (dove, talvolta, mi sembra- ma forse è un'impressione- che la voce perda di corpo e tenda un po' alla forzatura). La prima volta che ho ascoltato l'album sono rimasta, dunque, nel complesso, molto soddisfatta, e, devo dire, ho trovato quasi esaltanti alcuni pezzi come “Martyr of the free word”, “Kingdom of Heaven” e “Semblance of liberty”. Detto questo, dopo ripetuti ascolti la mia opinione iniziale si è precisata ed in parte modificata, conducendomi alla conclusione che “The Divine Conspiracy”, e non “Design your Universe”, sia il lavoro migliore che gli Epica abbiano finora prodotto.

Innanzitutto, c'è secondo me in “Design your universe” un problema di sovraccarico: i cori e la parte sinfonica, che pure sono elementi irrinunciabili in questo genere di musica, sono davvero troppo pomposi e finiscono in alcuni punti addirittura per oscurare Simone (vedi “Resign to surrender”) e creare un certo senso di saturazione. In secondo luogo (e questa è a mio avviso la pecca maggiore) il ritmo della musica sembra diventato nel complesso più lento, meno agile, com'è riscontrabile, ad esempio, in brani come “Unleashed”, “Our destiny” o “Deconstruct”. Infine, il disco è, secondo me, meno omogeneo del precedente sul piano stilistico; non che una certa varietà di toni non sia apprezzabile, ma trovo che brani come “Burn to a cinder” o “White waters”, in sé di buon livello, siano poco coerenti con il resto del disco (lo stesso discorso era valido in “The Divine Conspiracy” per la sola “Never enough”).

In conclusione, penso che gli Epica dovrebbero, per il futuro, proseguire il cammino intrapreso verso un suono più aggressivo e corposo, ma sfrondare un po' i diversi elementi (i cori e le orchestrazioni, soprattutto) e rendere l'insieme più compatto e diretto, bilanciando meglio le diverse componenti della loro musica, come avevano iniziato a fare secondo me in modo convincente con “The Divine Conspiracy”. Comunque, nell'odierno panorama symphonic metal, pieno di proposte non sempre felici, un disco di buon livello, da ascoltare.

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