Non che abbia mai sentito la reale esigenza di stroncare un disco, ma certe volte, come questa, la cosa nasce del tutto inaspettatamente. Scrivere una recensione, per chi non lo fa per mestiere, è il frutto dell'amore per la musica e del piacere della scrittura. Quindi scrivere di ciò che non piace è un atto che ha dei risvolti riconducibili sovente alle frustrazioni dello stesso recensore. Ma io non sono affatto frustrato, ho soltanto un conto in sospeso con questo disco e lo devo sciogliere.

Quando seppi del progetto musicale da cui poi nacque quest'album, mi affrettai a scrivere una mail di congratulazioni per l'idea avuta al produttore Franco Zanetti, fondatore di rockol.it, il primo sito web di divulgazione musicale italiano. Zanetti mi rispose cordialmente, ringraziando per i miei apprezzamenti e chiedendomi un parere dopo la pubblicazione. Dopo i primi ascolti, purtroppo, non ebbi la forza di rispondere, riposi il cd nella mia discoteca, nel ripiano dei dischi da dimenticare.

Ma un disco non si dimentica. Specialmente se contiene un'interpretazione nuova di brani che hai adorato alla follia e ascoltato fino alla nausea nella loro veste originale: i discussi e controversi dischi bianchi di Lucio Battisti e Pasquale Panella. Gli equiVoci, gruppo di sole voci, due femminili e una maschile, con la collaborazione di una quartetto d'archi, sotto la direzione di Alterisio Paoletti, incisero questo album reinterpretando in chiave di "musica da camera" una lista di brani estratti dai succitati lavori di Battisti. Un'idea tanto buona negli intendimenti quanto scadente nel risultato finale.

Sarebbe troppo facile liquidare il tutto affermando che ogni tentativo della musica "tradizionale" di rivisitare la musica moderna non ha mai prodotto risultati apprezzabili. Analogamente non oso affrontare lo spinoso discorso di quanto possa essere stato utile tutto ciò agli interpreti e al compianto autore originale. Per giustificare un'opinione negativa è invece necessario entrare nel merito.

Innanzitutto l'interpretazione vocale. Battisti lavorò molto sulla duttilità della sua voce, di natura poco dotata. I risultati furono lodevoli perché preferì insistere sul timbro e l'intonazione piuttosto che sulla mera tecnica. Gli equiVoci in questo disco profondono con le loro voci un freddo tecnicismo, che si traduce in monotonia specialmente nel cantato degli incisi, davvero stancanti all'orecchio.

E' mediocre anche il lavoro del quartetto d'archi se si eccettuano alcuni brani, fra i quali Campati In Aria, che di natura si presta alla nuova chiave intepretativa. Destinare al pizzicato i sottostrati ritmici costruiti da Battisti è francamente un'idea balzana e sarebbe valsa la pena eliminarli del tutto o avvalersi di un contrabbasso. Anche in questo caso la costruzione delle linee melodiche è alquanto approssimativa e monotona, con la dovuta eccezione di A Portata Di Mano dove invece c'è stato un certo sforzo creativo alla base. Dignitosa è anche l'esecuzione al pianoforte di Paoletti di Madre Pennuta, che conferma il fatto che una maggiore varietà strumentale non avrebbe fatto altro che bene al lavoro intero.

Sorprende ancora in negativo, vista la produzione di Zanetti, la scelta della scaletta, che presenta pezzi assolutamente improponibili, come Cosa Succederà Alla Ragazza ed Hegel, e trascura altri, che invece sarebbero stati più adatti al nuovo registro: Estetica e Però Il Rinoceronte, per citarne alcuni.

In definitiva un'operazione poco fortunata; e non meraviglia che gli equiVoci, se esistono ancora in quanto tali, non abbiano più azzardato un lavoro simile. Né tantomeno sorprende che Zanetti per il nuovo tributo a Battisti, che giunge a quattro anni di distanza, abbia da poco indetto una selezione di più gruppi e artisti. La speranza, che per chi ama la musica davvero non muore mai, è che i nuovi progetti siano più ragionati e meglio eseguiti di questo.

In fede, Voiceface.

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