Non so quanti siano i documenti riguardanti l'esperienza concentrazionaria, che sia quella tedesca, russa o un'altra qualsiasi. Credo innumerevoli. Tanti in passato ed altri ancora oggi continuano a testimoniare e raccontare ciò che hanno vissuto in prima persona o sentito a voce, generando sempre delle opere che vanno prese con le pinze, così come il tema che viene affrontato. Questo perchè parlare di lager o di gulag è sempre un qualcosa di complicato dove non ci possono essere giustificazioni.

Tante volte abbiamo sentito parlare di questo tema in toni sprezzanti, dispregiativi. La condanna netta di tutto quello che è successo e il ribrezzo totale verso la "soluzione finale". Molti studiosi ne hanno parlato in termini antropologici, altri in termini filosofici, altri ancora si sono limitati a descrivere cosa accadeva all'interno di queste "micro società". Eraldo Affinati nel suo libro Campo del sangue, ci parla dell'esperienza concentrazionaria pur non avendola vissuta, ma raccontandocela attraverso il suo viaggio, intrapreso come "cammino della sofferenza", da Venezia ad Auschwitz.

Accompagnato soltanto da un suo amico, Eraldo intraprende questo viaggio per cercare di capire la difficoltà di coloro che attraverso interminabili giorni di treno venivano deportati nei campi di concentramento nazisti. Il suo cammino è fatto soprattutto di lunghe giornate a piedi, lungo mezza Europa per giungere alla destinazione, il luogo più macabro della storia recente dell'umanità. Durante questo "viaggio di redenzione" Eraldo ci racconta la morte di suo nonno, ucciso per essere stato un acceso partigiano e convinto antifascista, mentre sua madre riuscì miracolosamente a salvarsi.

In quest'opera narrativa, che si presenta come un diario di bordo, il suo autore cita innumerevoli altri scrittori: Primo Levi, Hannah Arendt, Robert Antelme, Albert Camus, Leon Poliakov, Alain Badiou, Theodore Adorno, Raul Hilberg e moltissimi altri e arriva anche a parlare di cinema, letteratura, musica, il tutto legato all'esperienza vissuta dagli ebrei nei campi. Un'esperienza che ci viene descritta attraverso parole forti che non lasciano indifferenti.

E' uno degli argomenti più complicati della storia mondiale di ogni tempo quello della distruzione programmata degli ebrei. Un avvenimento che innumerevoli studiosi, scrittori, opinionisti, uomini d'arte, politici, hanno cercato di affrontare per cercare di decifrare il perchè di tutto questo. Non so se si arriverà mai ad un'opinione congiunta che accerti la causa, il fine e le idee che erano alla base di tutto ciò, ma il libro di Eraldo Affinati, è una lettura che senza voler essere troppo impegnativa dona alcune risposte. Un libro che si lascia leggere tutto d'un fiato grazie ad una scrittura semplice che però alcune volte si ingarbuglia in continui riferimenti al passato o agli autori citati. Affinati tocca una grande vastità di temi, alcuni trattandoli anche in maniera filosofia e mostrandoci un approccio alla scrittura molto libero, non vincolato alla "documentarizzazione" di ciò che ha visto e percepito durante il suo viaggio. E' proprio questo uno degli elementi che mi ha maggiormente colpito di Campo del sangue: nel suo viaggio verso Auschwitz sembra quasi che il paesaggio circostante rifletta il dolore che ha visto. Più ci si avvicina alla meta, più tutto diventa nero, carbonizzato, con industrie fatiscenti, villaggi abbandonati e una natura in decadimento. Ci si avvicina al luogo della non-speranza, il luogo in cui l'uomo ha azzerrato l'uomo. Nella dignità, nella vita, nell'umanità...

Non ci sarà mai una risposta a tutto questo.

"Siamo sfilati fra i Block in perfetto silenzio, spalla a spalla, come lavoratori che hanno esaurito gli straordinari. Ho pensato: questo è il corpo del Novecento, il campo del sangue, il vero giardino di pietra del tempo che abbiamo vissuto". (Eraldo Affinati)

"La figura esteriore del musulmano esprimeva perfettamente il processo di disumanizzazione di cui era stato fatto oggetto. Nello stadio finale del deperimento fisico, infatti, le sue ossa si ricoprivano di una pelle vizza simile a pergamena; ai piedi e sulle cosce si formavano edemi, mentre i muscoli superstiti sui glutei apparivano completamente emaciati, il cranio sembrava allungarsi, il naso colava muco sul mento, i globi oculari si incavavano profondamente nelle orbite, lo sguardo diventava apatico; gli arti si muovevano lenti, esitanti, quasi meccanicamente. Un puzzo penetrante emanava da quella figura: sudore, urina e feci liquide scendevano lungo le gambe. Gli stracci nei quali cercava riparo dal freddo erano pieni di pidocchi; la pelle era infestata dalla scabbia". (citato all'interno del libro, Wolfgang Sofsky)

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