Mona è una bella ragazza drusa. È nata e cresciuta nel Golan, che dal 1967 è occupato da Israele e rivendicato dalla Siria. Per questo motivo nella sua carta di identità non vi è un nazionalità, ma la dicitura 'apolide'. Mona è fidanzata. Il suo futuro marito è un famoso attore di Damasco, in Siria. I due, però, non si sono ancora incontrati di persona proprio per la situazione tra i due Paesi. Funziona così tra i Drusi. Esistono ancora i matrimoni combinati. Mona a questo è rassegnata: è cresciuta in quella cultura, e per lei è normale. Quel che non è normale, però, è il fatto che 'dato il suo status di apolide' una volta passato il confine israelo-siriano non potrà mai più far ritorno dalla sua famiglia. La situazione politica è molto tesa e le frontiere chiuse, quindi la sua scelta sarà definitiva. «La Sposa Siriana» non è però solo un film su un matrimonio difficile.
È un film di denuncia, che ci mostra le condizioni di vita dei drusi del Golan, la loro mentalità a tratti fortemente conservatrice, le gerarchie arcaiche, i contrasti all'interno della stessa comunità, divisa tra filoisraeliani e filosiriani. Il padre di Mona è fortemente filosiriano, già tenuto d'occhio dalla mishtarah (la polizia israeliana) perché sospetto sovversivo, costantemente occupato a non contrariare gli anziani del villaggio e a non incorrere nei pettegolezzi della gente. Per questo motivo ha ripudiato suo figlio Hattem, che ha sposato una donna russa (è fatto divieto per i drusi sposare persone che non siano della loro religione ed etnia). Hamal, sorella di Mona, è una donna non più giovanissima: le sue aspirazioni in gioventù erano tante ma, una dopo l'altra le ha viste sfumare proprio per la cultura della sua gente. Avrebbe voluto fare quello che qualsiasi donna Occidentale (quindi anche le israeliane) considera normale. Per Hamal no: non le è consetito andare all'università di Haifa (emblematica la frase di suo marito: «Vuoi che la gente pensi che non sono un uomo, che non so tener testa a mia moglie?»), non le è stato possibile sposare l'uomo che amava né condurre la vita che avrebbe voluto.
Ne "La Sposa Siriana" nessuno fa una gran bella figura. I drusi ci vengono mostrati come una popolazione chiusa e retrograda, i governi siriano e israeliano come ottusi e assolutamente non disposti a trovare una via di mediazione, nemmeno per una cosa semplice come l'espatrio di una sposa. La hostess di terra che 'accoglie' il fratello di Mona all'aeroporto di Tel Aviv, tornato in Israele per il matrimonio, è sospettosa per il solo fatto che l'uomo non è di etnia ebraica. Il capo della mishtarah, col suo piglio da 'uomo tutto d'un pezzo' diventa ottuso e scorretto nei confronti di Mona e suo padre, cercando di impedire a quest?ultimo di partecipare all'addio della ragazza. I militari siriani sono un gruppo di fannulloni, quelli israeliani sono invece troppo zelanti e rigidi. Questo è il ritratto che il regista Eran Riklis (israeliano) e la sceneggiatrice Suha Arra (palestinese) presentano del Medioriente. Non attribuiscono le colpe a nessuno: questo è il mondo. Il ragazzo israeliano che deve curare il servizio fotografico del matrimonio di Mona, non ha idea del fatto che la ragazza, una volta passato il confine, non potrà più vedere la sua famiglia e quando viene informato di ciò cade dalle nuvole. La gente siriana trova inconcepibile sposare una ragazza conosciuta solo via foto, i giovani drusi trovano del tutto normale (anche se doloroso) dover sottostare ad alcune leggi tribali.
Questo film, quindi, non giudica la gente comune. Denuncia la stupidità dei governi, tanto quelli Occidentali (Israele) quanto quelli Orientali (Siria). Un film amaro sul potere, sui confini fisici, mentali ed emotivi. Uno scorcio sulla vita di tutti i giorni di tre popoli che conosciamo troppo poco e in maniera del tutto distorta, una visione vera e senza fronzoli della situazione politica e culturale in Medioriente. Gli attori, tutti totalmente sconosciuti in Italia, sono davvero bravi. Clara Khoury, nel ruolo di Mona, ha poche battute. Lei è la protagonista del film ma è anche quella che parla meno di tutti. Perché tutto è deciso per lei 'dagli anziani', ma pur quasi senza parlare, la Khoury riesce a trasmettere le emozioni, le paure, le speranze di una giovane che sta per compiere un salto nel buio. Hiam Abbass, nel ruolo di Hamal, con la sua interpretazione intensa e composta ad un tempo, fa vivere allo spettatore la frustrazione, le speranze e la voglia di rivincita di una donna che, pur avendo un carattere forte, in vita sua ha sempre dovuto abbassare il capo, ma non vuole un futuro così per le sue figlie.
Recitato in diverse lingue (ebraico, arabo, inglese, francese, russo), il film non è stato doppiato nell'edizione italiana: scelta saggia perché ci mostra la babele che è tutta l'area degli incerti confini israeliani. Una curiosità: data proprio la situazione politica, Riklis, la Arra e il resto della troupe, hanno dovuto ricostruire la frontiera (con tanto di bandiera e inno nazionale siriani) in un'area interna di Israele, per poter girare le scene al confine. Nonostante i ritmi lenti, il film non annoia, anzi: stupisce lo spettatore Occidentale. Alberto Castellano de 'Il Mattino' lo definisce «Una storia semplice ma efficace, leggera ma profonda, a tratti divertente ma polemica. (?) Un atto d'amore per la libertà».
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