[Uh-oh! Ci fanno notare che questa recensione compare anche (tutta o in parte) su delrock.it]
Nato nel 1943 a Pittsburgh, Pennsylvania, Eric Andersen è uno dei più stimati e benvoluti cantautori americani. Dal suo debutto (avvenuto in pieno folk boom nel lontano 1965 con "Today Is The Highway") ad oggi, Andersen si è sempre contraddistinto per la sua scrittura intimista, poetica e raffinata. Dopo una breve parentesi country a fine anni 60, esce nel 1972 l'album più bello del suo intero catalogo, "Blue River".
Le session si tengono a Nashville con la produzione di Norbert Putnam e un team di bravi musicisti che imprimono all'album un suono caldo e sensuale. Il resto lo fa Andersen con la sua voce e le sue canzoni malinconiche e intense. Un capolavoro che racchiude folk, rock, country e soul, che parla d'amore e di sentimento.
L'apertura del disco affidata a "Is It Really Love At All" ben presenta il contenuto dell'opera. Un brano tenero, un poco spettrale ma mai sopra le righe. Poi basterebbe "Wind And Sand", ballata pianistica dal cuore sanguinante, la dolcissima"Faithful", o la stessa title track con al coro Joni Mitchell a farne un gran disco. Ma il resto non è da meno. Andersen supera se stesso con "Sheila", dove la parte strumentale già favolosa è impreziosita da un malinconico assolo di chitarra che attinge al vecchio west, e serve con un piatto d'argento un fugace ritorno al country in "More Often Than Not".
Un disco elegante, unico, di gran fascino e sempre attuale nonostante il tempo trascorso.
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