La vita privata di Eric Clapton quanto a popolarità ha sempre viaggiato alla stessa stregua di quella artistica, divenendone anche una ineluttabile conseguenza. Dall'innamoramento (im)possibile di Pattie Boyd (la moglie di George Harrison) agli eccessi con fumo, alcool e cocaina, un'esistenza sempre su una sottilissima linea di equilibrio dove coraggio e voglia di vincere facevano da contraltare a fragilità ed insicurezza.
Durante la metà degli anni '80 (seppur fossimo ancora in presenza del connubio alcool-droghe) Clapton pone le basi di una rinascita che troverà compiutezza con la decade successiva. Nel 1984 con l'uscita di Roger Waters dai Pink Floyd, Clapton dona le proprie mani al servizio del collega nel discreto "The Pros and the Cons of the Hitch Hiking" per cui suonerà anche delle date dal vivo. Nel maggio del 1985 sospenderà la sua apparizione in tv a The Late Night with Dave Letterman durante la quale presenterà senza preavviso la celebre "White Room" che non eseguiva da circa 30 anni. Con la presenza a quello che verrà ricordato come l'evento mediatico del decennio il Live Aid, il chitarrista del Surrey insieme alla sua band e con il poliedrico Phil Collins, darà vita ad una performance di quasi 18 minuti in cui eseguirà anche"She's Waiting" presa proprio dal precedente "Behind The Sun", di cui il batterista dei Genesis era stato co-produttore insieme a Ted Templeman (Van Halen, Montrose e The Doobie Brothers su tutti) e Lenny Waronker (The Doobie Brothers e Paul Simon tra gli altri).
"August" ( il decimo sigillo personale riguardo alla sua carriera solista) prosegue su quella linea di adattamento ad una certa modernità musicale iniziata col suo precedente lavoro, lasciando alle mani di Collins (presente anche in sala regia) percuotere le pelli, evidenziando un Clapton ad ampio raggio, capace di esprimersi naturalmente attraverso brani magari facilmente accessibili ("Run" e "Behind The Mask"), ma anche altri in cui provano a prevalere sentimento ed intensità ("Walk Away" e "Bad Influence"). E seppure i sintetizzatori guadagnano terreno pur senza essere inopportunamente invadenti ("Hold On" e "Grand Illusion"), alcune canzoni vivono anche di luce riflessa della gloria del passato, attraverso infallibili (ma quanto inaspettate?) pennellate in grado di dar vivacità ai colori di una sublime tela, ordendo perlopiù canzoni sfacciatamente radio friendly ("Take A Chance" o "Miss You"), elargendo a completamento un intuibile pur se squisito gusto ritmico ("Hung Up On Your Love" e "Tearng Us Apart" con Tina Turner).
Il disco dedicato allo sfortunato figlio Connor (nato per l'appunto il 21 agosto 1986 e venuto meno all'età di 5 anni cadendo dal 49esimo piano di un grattacielo...) è un lavoro dolente in cui a primeggiare non è di certo il musicista innovatore ammirato al fianco di Jack Bruce e Ginger Baker, bensì un Clapton più intento a mostrare l'aspetto più soft della sua musica attraverso cui esprimere un personalissimo modo di far convivere (con meno naturalezza, permettetemelo...) blues e rhythm and blues giocandosi anche la carta delle ospitate di rilievo (Gary Brooker dei Procol Harum e la leonessa del rock su tutte). Sia ben inteso siamo di fronte ad un album che vede consolidare una vena pop in grado di sposarsi artatamente ad un suono contemporaneo, ma lasciando trasparire un artista stanco che disattende gli amanti di quella rivoluzione musicale di cui era stato artefice, e che avrebbero voluto ritrovare quella magia che aveva ripreso ad aleggiare con quel "Money And Cigarettes" di appena alcuni anni prima.
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