Just One Night

Il punto più alto della carriera solista del primo Eric, almeno fino all’uscita di Unplugged che segnerà una ripartenza strepitosa dopo un lungo decennio (quello degli anni 80) troppo influenzato dalla moda, alcol e droghe, oltre che strizzatine d’occhio al pop/commerciale che al nostro Eric non fecero per niente bene. Ma torniamo a quella splendida notte (in realtà due serate) al Budokan di Tokyo che hanno visto nascere l’album.

Un piccola premessa.

Come spesso Eric ci ha abituato, all’improvviso azzera tutto e riparte: ha bisogno di nuovi stimoli musicali o semplicemente si rende conto che ha già dato tutto con quella formazione. Così avviene nel 1979, dopo l’uscita del buon Backless: licenzia la band, quella che lo ha accompagnato negli iniziali nove anni di carriera e con cui ha inciso i primi 5 album in studio più il live E.C. Was Here. Una buona formazione con l’ottimo Jamie Oldaker alla batteria (riconosciuto recentemente da Eric come il miglior batterista che abbia avuto), l’amico (purtroppo scomparso nell’81) Carl Raddle al basso, Dick Sims alle tastiere e Jeorge Terry alla chitarra, che più suonare la ritmica si sovrapponeva spesso ad Eric in una sorta di competizione fra chitarristi con risultati non gradevoli. Chiudono la formazione due meravigliose coriste, Ivone Ellman e Marcy Levy. La fine degli anni 70 non sono un buon periodo personale per Clapton, è importante dirlo per inquadrare la nascita di Just One Night: è spesso ubriaco o drogato oppure l’uno e l’altro in contemporanea, i suoi live sono un terno al lotto, può capitare di assistere ad un bel concerto oppure ad un estenuante ricerca dell’assolo e del settaggio giusto per la chitarra. Se avete un po’ di tempo vi consiglio la visione del documentario E.C. His Rolling Hotel, ovvero il reportage del tour del 78: Eric è sempre ubriaco o strafatto, poco lucido, voce impastata, sguardo perso.

Band nuova, condizione psico-fisica disastrosa: le premesse per un disastro ci sono tutte.

Ma Eric non a caso è una leggenda. Crea una nuova formazione che lo accompagnerà nel live e per i due anni seguenti. Eric è intelligente ed umile, capisce che ha bisogno di un aiuto per sostenere il palco, ha bisogno di una spalla brava. E così, cosa che poche star ella chitarra avrebbero fatto, chiede all’amico Alber Lee di affiancarlo, si rimette in gioco. E’ linfa vitale! Lee non è una seconda chitarra classica, è un grande del country blues, una tecnica opposta a quella di Eric, è virtuoso, elegante, finissimo accompagnatore ed ottimo solista. E’ quello che ci voleva per far tornare a ruggire la mitica stratocaster di Eric che duetta splendidamente con Lee, si scambiano le partiture, intrecciano gli assoli senza mai sovrapporsi, si sfidano esaltandosi a vicenda. Inoltre Eric ritrova quella disciplina solistica che in quel periodo mancava: soli troppo lunghi, regolazioni approssimative, passaggi “rifugio” durante gli interminabili assoli adesso sono ricordi. Eric è tirato a lucido come non mai. Ad affiancarlo la leggenda del blues e dell’honki tonki Cris Stainton, Henry Spinetty prende il posto di Oldaker e Dave Markee, bassista discreto e moderno, al basso. Basta così.

La scelta dei brani è singolare, ma Clapton, negli anni, ci ha abituato a scelte assolutamente “personali” ma vincenti. Certo, nel 79 il materiale non è tantissimo e non tutto di buona qualità ma inspiegabilmente rimangono fuori ottimi brani che sono stati cavalli di battaglia: penso a Layla (in realtà registrata ma esclusa dall’album) i Shot The Sheriff, Crossroad, Badge, Llittle Wing, l’appena pubblicata Promises e molte altre ma, come detto, il nostro ci sorprende: entrano nella scaletta pezzi che in studio sono debolucci, Tulsa Time, If Don Ber My Mornig, All’Our Past Time e Setting My Up di Knoplfler cantata da Albert Lee. Ma nel Live, per una strana alchimia difficilmente spiegabile, diventano piccoli capolavori. Forse, a posteriori, è stato un bene che abbia scelto questi brani: sono canzoni che non ha quasi più eseguito dal vivo e che difficilmente si ascoltano nelle versioni studio, mettendole in Just One Night sono rimaste per sempre come capolavori di una serata. Anzi due.

Due album, ognuno composto da sei canzoni.

Il Live inizia con una lunga scala di Chris Stainton: è Tulsa Time, tutta piano e “collo di bottiglia”! La chitarra graffia, elegante, raffinata, un assolo pulito. Chitarra piena e voce “nera”. Early In the Morning e la deliziosa Lay Dont Sally e con quella che, secondo me, è la più bella versione mai eseguita di Wonderful Tonight. Si riparte (lato b) con If Dont Be My Morning, un po’ anonima, Eric da l’impressione di volersi togliere il pensiero e si passa senza fiato Worried Life blues. All’Our Past Time, che segue, è un piccolo gioiello: alla voce si alternano Albert Lee ed Eric, le chitarre si inseguono con dolcezza, l’attacco di Eric, dopo il solo di Lee, è quasi commovente, le corde gridano profonde fino al finale dolcissimo di pianoforte, una gioia. Ed ecco quello che secondo me è un capolavoro: avete presente After Midnight in studio? Dimenticatela! Un tornado, wha wha sparato su un ritmo frenetico supportato da Herny Spinetti che va come un treno, Eric è scatenato, la voce roca un po’ stanca ed affaticata emoziona e fa rimanere senza fiato, una goduria nel più classico stile Rock.

E poi inizia lei: Double Truble, il più bel pezzo, chiaramente per me, dell’album. In minore, profondo, triste, organo Hammond in sottofondo, una chitarra mai così tagliente, pulita, voce sofferente e triste, una linea melodica “arrabbiata” e tanta, tanta chitarra. Non è il classico assolo blues, non so cosa avesse quella sera Eric, è una mix di rabbia e potenza, lo stile di quella sera, ignoto fino ad allora, si ritroverà solo parecchi anni dopo, quando Clapton tornerà alla vita dopo le tragedie personali. Chissà come ma quella sera ha anticipato di oltre 10 anni ciò che avrebbe fatto solo ad inizi degli anni 90…finale di Duble Troube “ansiogeno”, con un sottofondo di sint (suonato da Albert Lee che nei blues non mette mani) che si interrompe con una “fucilata” di Eric. Ottimo il basso di Dave Marky, profondo, senza inutili dimostrazioni di bravura, sempre sulla nota grave, molto bravo. Dopo questa “sofferenza” positiva un po’ di leggerezza con Setting Mi Up, come dicevo cantata da Lee con la sua bella voce country e con un alternanza di chitarre bellissimo: i due stili si confrontano senza mai unirsi, non c’è sfida, non c’è rivalità, solo una fusione di note tra due grandi amanti delle sei corde…ed a proposito, ecco Blues Power! Circa 4 minuti di assolo tutto wha wha, Eric si diverte e si sente, è il suo genere “leggero”, quello che fa per scaldarsi, si sente che lo padroneggia con leggerezza, un vero divertimento per i chitarristi. Segue Rambling On My Mind, credo sia il primo blues che abbia cantato nel disco Blues Breakers With Eric Clapton, quando si “vergognava a cantare” (parole di Eric), e finalmente…

Cocaine!

Pubblico in estasi che si sostituisce ad Eric nel celebre “COCAINE”, chitarra graffiante, secca, ottima sezione ritmica che non molla mai, ed assolo entrato nella leggenda con quel richiamo alle melodie giapponesi…Il secondo assolo è un altro capolavoro di Lee, tutto tecnica e pulizia, note ben scandite senza mai alzare le corde. Mai più eseguita così bene, almeno nelle altre registrazioni Live.

Presentazione della band e si chiude con il rock and roll di Further On Up The Road e con il più stanco dei “god bless you, good night”

Come detto album che anticipa ciò che Eric farà soltanto una quindicina di anni dopo, sia come timbrica vocale che chitarristica: è aggressivo, veloce, mai banale, alla ricerca di sonorità diverse. Non so cosa sia accaduto quelle due sere, ma ringraziamo Eric qualsiasi cosa abbia combinato per suonare e cantare in quel modo.

God Bless Eric.

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