Due anni dopo "Another Ticket", buonissimo album ma non certo memorabile, è tempo di cambiamenti per Slowhand: via dalla RSO, il nuovo lavoro di studio vede la luce per la neonata Duck Records, etichetta personale di un bluesman che appare - almeno temporaneamente - ripulito da eccessi e abusi del passato. E soprattutto, alla guida di una backing band di brevissima durata ma che - anche solo per lo spazio di un album - era destinata a lasciare il segno: Albert Lee è l'unico superstite del disco precedente, per il resto Eric licenzia tutti e si assicura le prestazioni di Ry Cooder e di una sezione ritmica - di enorme classe - con Donald "Duck" Dunn (servono presentazioni...? Non credo proprio) e, dietro i tamburi, Roger Hawkins, leggenda della Muscle Shoals Rhythm Section.
Inevitabile, dunque, che con simili premesse ci scappasse il capolavoro; tanto che "Money & Cigarettes", a quasi 30 anni di distanza, si può giustamente considerare l'unica grande opera claptoniana degli Ottanta, prima che il Nostro sprofondasse nel buio commerciale (e nella pochezza di idee) dei due album successivi, per un periodo che tutti ricordano come il più basso della sua carriera. Certo, anche la sciagurata produzione di Phil Collins farà tanto, sta di fatto che mai Clapton è sembrato un artista davvero finito come lo sembrò fra l''85 e i primi anni '90.
Ma il disco dell''83 è ben altra cosa, qui si apprezzano ancora quelle prodezze da "guitar hero", quelle indescrivibili libidinose evoluzioni della Stratocaster per cui "Clapton Is God", e per cui Egli rimane, a dispetto di tante altre cose, il più grande chitarrista uscito dal giro dei Bluesbreakers: più costante e regolare di Peter Green, più incisivo e graffiante di Mick Taylor, impantanato nel mosciume della sua povera produzione da solista dopo che la permanenza negli Stones aveva lasciato intendere ben altro. E in generale, tanti chitarristi venderebbero l'anima al diavolo pur di incidere un disco come "Money & Cigarettes"; potenza, espressività, eleganza, dolcezza, "feeling" e intensità da vendere, e soprattutto: il piacere unico di sentir dialogare due fenomeni, l'impeccabile perfetto amalgamarsi della chitarra di Eric con la slide - inconfondibile - di Ry Cooder. "The Shape You're In" ne è la dimostrazione lampante, peraltro su di un testo a dir poco brillante che parla, con tagliente ironia da bluesman, della dipendenza da alcool: un duetto magistrale, nulla da dire. E non va dimenticato che la maggior parte del repertorio consta di originali; come "Ain't Going Down", turbinoso e frenetico Rock costruito sulla stessa sequenza di accordi di "All Along The Watchtower" e velocizzato dall'enorme lavoro di batteria di Hawkins: qui si ascolta ancora il Clapton dell'era-Derek & The Dominos, lo strumento taglia e ruggisce con una violenza e una veemenza sempre più rare, in futuro (esibizioni dal vivo a parte, naturalmente); come "Man In Love", 12 battute canoniche ma di gran gusto nelle linee melodiche, con Albert Lee che si cimenta - eccezionalmente - anche al piano; come "Slow Down Linda", tiratissimo R'n'R che pare firmato Jagger/Richards; come "Man Overboard" e "Pretty Girl", due parentesi apparentemente "leggere" e minori, in realtà agili interpretazioni di consolidati stilemi Soul e Rhythm & Blues; belle le linee acustiche della seconda, classica ballatona claptoniana totalmente votata allo slow.
Ma rimane da dire (e che dire!) delle cover, aspetto non certo indifferente per valutare ogni disco di Eric che si rispetti: torna Sleepy John Estes con l'arcinota "Everybody Oughta Make A Change" (la preferisco, debbo dire, alla pur eccellente rilettura di Taj Mahal nel suo eponimo debutto), torna Troy Seals con l'intimista e accattivante sottovoce di "I've Got A Rock'n'Roll Heart". Entrano il classico "Crosscut Saw", uscito dalla penna di R.G.Ford ma entrata nella storia nella versione di Albert King del '66, e il Johnny Otis di "Crazy Country Hop" (scomparso da poco, fra l'altro: lo vorrei ricordare qui): interpretata come lo farebbe una rurale orchestrina sudista anni '50, cogliendo dunque in pieno lo spirito e il significato (essenzialmente "ludico", spontaneo) del pezzo come fu concepito.
Cinque. Anche se molti non saranno d'accordo, anche se molti tireranno fuori la solita storia di Clapton "morto dopo Layla" e compagnia bella... Ma è difficile negare la grandezza di questo disco.
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