In una Francia di inizio anni '90 una giovane parrucchiera vive nella speranza che il padre della figlia si rifaccia vivo, un amore estivo che in dono ha lasciato una piccola persona dissoltosi a causa di un indirizzo sbagliato. Secondo capitolo del Ciclo delle Quattro Stragioni il "Racconto d'Inverno" è molto lontano dal capitolo precedente, "Racconto di Primavera". Nel cinema di Rohmer vi è sempre una tensione sessuale evidente, che si manifesta in tante ossessioni non solo fisiche ma soprattutto intellettuali. Le figure femminili che popolano il suo cinema sono quasi sempre iperpensatrici, razionali all'apparenza e quasi sempre strateghe e padrone del proprio destino. In "Racconto di Primavera" si faceva l'amore con la mente, dialoghi lunghi e tesissimi in uno scenario di isolamento intellettuale in cui la giovane professoressa di filosofia (Anne Teyssèdre) si perdeva risucchiata nelle citazione della "Critica alla Ragion Pura" di Kant. In "Racconto d'Inverno" ci si apre subito al sesso manifesto, l'amore consumato tra la protagonista Félicie (Charlotte Véry) e il suo amore estivo (Frédéric van den Driessche), si capisce che si viaggia su binari diversi. Così Rohmer ci racconterà il rapporto tra la giovane donna e i suoi uomini, figure di rimpiazzo in attesa che la fotografia che tiene sul comodino della camera della figlioletta torni in carne ed ossa. Un film dalla trama sviante, una sorta di fiaba in cui l'Inverno è un pretesto per tanti spostamenti del cuore, tante incertezze di una ragazza sola e sognatrice in uno scenario di povertà della provincia francese. Un Rohmer stranamente dedito alla poesia lieve, con un finale a sorpresa intuibile solo facendo molta attenzione alla lunga sequenza teatrale che mostra l'opera "Il Racconto d'Inverno" di William Shakespeare, vera fonte d'ispirazione del film.

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