"If all things mass pass, why build a miracle at all?"

E quando senti la voce di questa persona, oramai scomparsa, che ancora riesce a darti quelle emozioni e quelle sensazioni che credevi ormai perdute, ti rendi conto che un pezzo della tua vita se ne è andata con essa. In un certo senso è come quando scompare una persona a te cara e ti rendi conto che con essa si perde un pezzo della propria esistenza condivisa insieme.

E così quando ascolto la voce dalle cadenze vellutate di Eric Woolfson, la mia mente viene catapultata indietro, verso la seconda metà degli anni Novanta: i lunghi pomeriggi doposcuola a casa di Pibroch ad ascoltare i vinili degli Alan Parsons Project, le prime ragazzine, le partite a calcio, la prime bigiate; il nostro sparare cazzate e il fan club del Dodo, sovente con le voci di Lenny Zakatek, Chris Rainbow e naturalmente Eric Woolfson, eletto un po' il nostro cantante preferito all'interno del Project. Sia io che Pibroch abbiamo appreso pochi giorni fa con molto dolore della sua scomparsa il 2 dicembre del 2009, a 64 anni, per colpa di uno stramaledettismo tumore. Lui gli ha tributato una splendida recensione che potete trovare qui, ma anche io ho voluto fargli un piccolo omaggio con questa rece.

Uomo geniale questo Woolfson, come il suo compagno di musica Parsons. Uno che l'orchestra ci andava a braccetto, e il suo approccio orchestrale si riflette nel suo modo di comporre musica rock, perlomeno musica per il mercato musicale moderno. Non solo per il massiccio uso di cori e arrangiamenti compenetrati nelle composizioni, ma anche nelle strutture delle stesse. Oltre a ciò, è sempre stato un pianista eccellente.

"Freudiana" avrebbe in teoria dovuto essere l'undicesimo album dell'Alan Parsons Project, ma quando l'album fu pronto, nel 1990, fu chiaro a tutti che questo disco era interamente opera di Woolfson e a Parsons venne dunque accreditata solo la produzione. E forse è meglio così, perché il suono aveva comunque subito qualche tocco di modernità, soprattutto dopo l'album Stereotomy. Affiancato dalla solita band del Project (Ian Bairnson alla chitarra, Stuart Elliott alla batteria, Andy Powell arrangiamenti orchestrali), Woolfson riuscì a dare alla luce un gioiellino: la strizzata d'occhio ai synth, i già citati eccelsi arrangiamenti orchestrali, una manciata di ottimi guest alla voce del calibro di John Miles, Kiki Dee, Leo Sayer.

Degne di nota sono la beatlesiana "Little Hans", la più parsoniana "I Am A Mirror", e un paio di strumentali come "The Nirvana Principle", "Freudiana II" o la bellissima "Beyond the Pleasure Principle", l'unica scritta da Parsons. Chris Rainbow ci riporta ai brividi di Gemini con il breve Destiny, me è Eric Woolfson fa i miracoli alla voce, non tanto in "Freudiana I", ma più in "Dora" e "Let Yourself Go". I pezzi più vicini ai canoni teatrali sono quelli cantati dal gruppo ospite The Flying Pickets, così come "No One Can Love You Better Than Me" con il terzetto Kiki Dee/Gary Howard/Marti Webb. Forse l'album offre all'ascoltatore troppi intervalli rallentati fra i pezzi degni di nota sopracitati, ma ad ogni modo ha il pregio di essere un lavoro molto eterogeneo.

In studio Woolfson ha pubblicato solo tre album di studio a suo nome, forse perché la vera magia stava nella collaborazione con il buon vecchio Alan.

Addio caro Eric, purtroppo te ne sei andato quasi tra l'indifferenza di tutto il mondo della musica e indubbiamente non ti hanno tributato gli onori che avresti meritato. Riposa in pace.

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