Forse il giudizio negativo soffre del gap incolmato tra le aspettative e ciò che realmente si è visto sullo schermo, e questa è una colpa in gran parte dello spettatore. Ma almeno stupisse in senso contrario, il film, facendoci dimenticare quante erronee idee ci riempivano la testa nell'attesa di vederlo. Neanche questo gli si può ascrivere, perchè rimane un film che non riesce a trattare con partecipazione emotiva un tema troppo semplice nella sua filosofica difficoltà e non riesce neanche ad illuderci come ogni film che sia decente dovrebbe, tanto che le uniche scene che riescono ad accaldarci sono quelle in cui si muove la vivace e sanguigna gente del Po, con la sua volgarità boccaccesca e naturale.
La figura di Raz Degan (di una monotonia soporifera) è imbarazzante, e il successivo ridoppiaggio aggiungono imbarazzo ad imbarazzo: la macchietta in certe scene non è poi tanto lontana. L'unica figura meglio abbozzata è quella della ingenua e lattiginosa "ragazza del pane", e il suo bisogno di amore (che purtroppo, a scapito della bellezza della pellicola, va ad appoggiarsi sulla spalla del belloccio israeliano) resta l'emozione più pura che il film sa trasmettere. Il resto è solo un'accozzaglia di caratteristi senza arte né parte, sui quali svetta, in negativo, il sacerdote bibliofilo che riesce perfettamente a fare la parodia del personaggio che dovrebbe interpretare.
Un discorso a parte merita il messaggio che il film vuole trasmettere, nobilissimo certo, ma la sceneggiatura non fa il suo dovere lasciando a qualche frase ad effetto il gravoso compito di significare qualcosa che sarebbe stato meglio fosse emerso da uno script meglio strutturato e da personaggi meglio inquadrati nel loro ambiente. Laddove vorrebbero essere storiche, le battute più pregnanti suonano già dette o completamente fuori luogo (l'interrogatorio conclusivo!) e la sensazione è che il famoso "messaggio" sia stato quasi a tavolino affibbiato al film, invece di lasciare che il pubblico lo intuisse seguendo gli snodi della vicenda.
Da un regista che ha confessato il suo amore per la forma documentario ci si aspettava una descrizione migliore dell'ambiente fluviale, una "mitologia" del Po e dei suoi pescatori che però lascia il posto ad una generica protesta ambientalista che si infervora dell'idea "romantica" di una natura che punisce tutti coloro che le usano violenza. Forse il problema, alla sua radice, è che Olmi voleva inseguire un semplice obiettivo attraverso troppe strade e si è smarrito.
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