Novembre 1993. La situazione in Italia  è simile  a quella attuale, anche se non così drammatica:  il Pool di Mani Pulite arresta ogni giorno sempre più gente, tanti licenziamenti, un governo tecnico esperto in tagli,   diminuzione dei fondi per la scuola, e rischio di una privatizzazione dell’istruzione.
La scuola insorge. È  il  periodo  delle  occupazioni  delle scuole in tutta Italia. Con i miei amici e amiche viviamo dentro il liceo:  discussioni   (politica, costume, società, religione), scambi di idee (più o meno civili), nuove amicizie e così via.  Nel pomeriggio siamo insieme ad ascoltare musica e a scambiarci pareri: momenti indimenticabili. Un giorno Maria, la  mia  compagna di classe, fiera  membra del fan club di Ramazzotti, mi porta  “Tutte Storie” e  mi dice di  ascoltarlo. Io e il mio amico Massimo, che da circa un anno mi sta facendo il lavaggio del cervello con i Beatles, la  rispettiamo  molto,  per  la sua forza e  l’intelligenza, e non le rispondiamo  male.  Educatamente  lo mettiamo nel CD -player, aspettandoci  il peggio…  E invece, ecco il disco che non ti  aspetti.   

Inizio con il riff di chitarra elettrica sul MI, e io e Massimo ci guardiamo stupiti: una chitarra in Ramazzotti? Poi il cambio di accordo con le tre note sul MI BASSO e l’organo cupo che fa iniziare una canzone seria, di spessore,  arrangiata benissimo. Non ascolto il testo, rapito dalla malinconia della musica, oltreché dal suono cristallino degli strumenti.  

Il cantato è troppo sincero (specie nel finale), nasale o non nasale, per non toccarmi. Maria mi dice  che è una storia  biografica - non una canzonetta d’amore scritta per le ragazzine  -  la fine di una lunga storia di tanti anni tra lui e una donna con la quale doveva sposarsi. Peccato per il testo, a  tratti davvero  brutto: “Sto ancora in piedi,  perché sono umani tutti i sogni miei”;   “Se prendo le curve del cuore  sbandando un pò” .

Riascoltandola venti anni dopo, ovviamente, lo valuto con più equilibrio, ma continuo ad apprezzarla. È vero, la fantasia compositiva è praticamente zero. Dopo gli accordi iniziali, prima del cantato, la canzone è finita.  L’unica cosa di “originale” è  solo   il  cambio di   accordo  che  avviene sulle tre note del   MI BASSO, il ta-ta-ta, che entra nella testa sin dal primo ascolto. Una canzone scritta in 10 minuti e arrangiata in 10 settimane.

Tuttavia, l’organo malinconico in sottofondo,  il bellissimo assolo  e  gli ottimi  fraseggi di Phil Palmer alla chitarra, ne fanno una gran bella canzone,  molto diversa dall’orribile remake del 1997, cantato veramente malissimo, fatto con  Vinnie  Colaiuta  alla batteria (troppo in evidenza)  e Mike Landau alla chitarra, che hanno tolto al  malinconico organo  il ruolo centrale che aveva nella versione originale.

Diversi amici chitarristi, anche se non lo diranno mai in pubblico, in privato mi confessano di essersi esercitati molto su questa canzone, quando cominciarono a suonare la chitarra.

La canzone successiva, “A mezza via”, è un eccellente lento - di spessore. Ancora organo, meno chitarra, più batteria. Qui il testo è buono e parla di voglia di novità.

Poi arriva “Un’altra te”. Niente di che, ma il testo mi piace. Non è una canzone d’amore che dice “quanto sono vuoto senza te”, ma che descrive, con immagini concrete e mai sdolcinate, il carattere della donna che lo ha lasciato.  Alla fine della canzone, sai benissimo com’era  fatta  la sua  ex-compagna: “Non c’è  nessuna con la  stessa  fantasia di tenere i ritmi indiavolati degli umori miei; e mi manca la tua gelosia, anche se poi era forse più la mia”. Non è certo “Rimmel”, ma tra questa di  Ramazzotti e  tante  canzoni d’amore italiane assurdamente celebrate non c’è davvero confronto – quanto al testo.

“Memorie” parla ancora di lei. La sobrietà della canzone, si unisce ad  una  produzione molto brillante. Il testo non mi piace proprio, specialmente per  la  metafora  pascoliana “formicolio delle stelle”.   

“In compagnia”  è una canzone ben ritmata. Il  testo è adolescenziale, con ingenuità davvero fastidiose, ma anche qualche bel verso.  

“Un grosso no”  è, invece, una splendida piano-guitar ballad. È triste sprecare una canzone così con un testo  pieno di  frasi  “quasi-fatte”. Non si capisce contro chi o cosa sta dicendo il suo no. E poi brutti versi come questo:  “Quando il rumore che c’è, non si capisce cos’è”.   

Ed ecco la splendida “Favola”. Rimasi incredulo ascoltandola, e, venti anni dopo, non ha perso nulla della sua straordinaria bellezza. Il testo,  ispirato a “Favola d’Amore” di  Hermann Hesse, ha anche un piccolo valore letterario. La sostanza è che nessun uomo è nato per stare solo e che non si  può trovare la felicità nell’egoismo: “La felicità non è mai la metà di un infinito”. Davvero incantevole.

“Niente di male” e “Non c’è più fantasia” sono due canzoni davvero mediocri. La seconda ha un testo veramente terribile.

“Nostalsong”, invece, è una bella canzone. Un mezzo blues, con un buon lavoro di Palmer, e un bel piano. Ottimo l’assolo di sax, che dura più di un minuto, senza mai annoiare. Ramazzotti canta molto bene, molto sicuro. Peccato per il  testo, assolutamente inutile, anche se parole e musica si uniscono bene.

“Esodi” è un’altra piano-guitar ballad. Non è male, ma poteva essere fatta molto meglio nel testo (che parla dello spostamento dei giovani dai peasini  alla città, spostamento visto da un uomo anziano).

“L’ultima rivoluzione” è una bella canzone alla chitarra, con Palmer in  gran  spolvero nell’assolo. Il succo del testo  non mi dispiace: “Prima di cercare di cambiare il mondo, c’è bisogno forse di cambiare noi”, anche se in vari punti, purtroppo, scade nel banale.

“Silver e Missie”  è uno splendido finale. Ramazzotti usa l’immagine di due delfini, liberati davvero da un’associazione animalista, per  parlare della sua “vita galera” – come lessi in un’intervista su un giornale dell’epoca. La trovai davvero toccante venti anni fa, e dopo vent’anni non ho cambiato parere.

La forza di “Tutte Storie” è negli arrangiamenti  (5 stelle), in qualche bel testo, nella chitarra  in certi pezzi, e non  nel  valore compositivo delle canzoni, che sono, in generale, piuttosto ordinarie (diciamo in media  da 2.5 stelle).

Ovviamente, “Tutte Storie” è un disco fatto per vendere, senza reale valore artistico. Lo stesso Ramazzotti disse:  “Ho voluto fare un disco più radiofonico rispetto a “In Ogni Senso””. Rimane, però, un signor disco di  "pop-commerciale".

Diciamo che è 3.5 (media tra 2 e 5), che arrotondo a 4  per  i  ricordi che mi suscita. Con testi all’altezza e senza quelle due brutte canzoni, gli  darei anche un  5 nel suo  genere.  

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