Tutte le volte che entro in quel bar la mattina presto lui c’è, ma forse è solo coincidenza e magari mentre sta facendo con impegno quello che sta facendo, i suoi neuroni partoriscono la mia stessa considerazione. E' pure probabile che quando non posso vederlo si metta pure a scuotere con vigore la testa con un linguaggio del corpo che afferma perentorio “ma una moka proprio non ce l’hai, coglione?” Mi bevo il caffè al tavolo e sfoglio i quotidiani pieni delle solite miserie, qualche sfiziosa curiosità, parchi quadrifogli. Quando esco non riesco a non gettargli un ultimo sguardo e mi sembra ci sia del vetro sull’iride, come se fosse altrove o abbia completamente smarrito la ragione; scivolata accidentalmente sul pavimento. Lo osservo pigiare a cazzo quei tasti di merda colorati e mettere un altro euro, il quinto in pochi minuti, nella stretta vagina di ferro che, ingorda e famelica, si mangia i suoi risparmi. La sua mente deve ritenere che questa sia la volta buona per una cospicua vincita: io, infatti, con i miei influssi negativi mi sto levando dai coglioni. E questo è poco, ma è sicuro.
Ty Ty non è vecchio, è solo spacciato. Siamo negli anni della depressione più o meno e ha la malattia peggiore che si possa avere. La febbre dell’oro ha le fattezze di una polvere sottile che non ti puoi scrollare di dosso nemmeno fosse l’unico modo per salvarsi l’anima: peggio dell’alcool, delle sigarette, perfino delle invitanti cosce delle donne dei bordelli che frequentava. Ma Ty Ty è anche molto religioso e una parte del suo terreno l’ha sempre voluta regalare al Signore. Da 27 anni a questa parte ogni prodotto del campo del Signore va alla chiesa perché lui è orgoglioso di dividere con Dio quel poco che possiede. A voler essere pignoli non ci coltiva nulla a parte erbacce e serpenti a sonagli, e se volessimo essere pure puntigliosi spesso gli cambia posizione perché quando decide di scavare una nuova buca la scelta finisce sempre per ricadere proprio sul campo del Signore. E dal momento che Ty Ty è contrario a scavare nella terra di Dio, sia mai, non v’è altra soluzione che spostare ogni volta il divino terreno in un altro loco della fattoria. Ogni volta! Sarebbe una disgrazia, infatti, se l’oro fosse davvero nel "piccolo campo" e che le pepite cercate ossessivamente per 3 decenni le si dovessero donare alla chiesa.
Credo che questo passaggio sia una tremenda e dissacrante fotografia, di raro impatto e forza, della debolezza e meschinità dell’essere umano. Adoro il contenuto di questa minuscola parte di un capitolo iniziale del libro ed invidio, fino quasi all'odio, il modo in cui è stata scritta. Ci sono tanti altri spunti in queste 200 pagine affilate, ma non voglio rovinarvi nulla e per una volta tentare di essere più sintetico e verboso rispetto al solito. Ho letto 4 libri di Erskine Caldwell e devo ammettere che nemmeno “La via del tabacco” regge il confronto. “Il piccolo campo” è un’opera fuori dall’ordinario: priva del superfluo, snella, dura e senza la minima traccia di retorica capace di descrivere la realtà con quel sarcasmo, cinismo e realismo che non ha nulla da invidiare al miglior Steinbeck.
Solo che “Uomini e topi” è un titolo che conoscono tutti, almeno di nome, mentre questo libro credo che sia ingiustamente sconosciuto ai più. Spendo questa mezzora per invitarvi con forza a leggerlo.
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korrea
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