“…La musica è abbastanza in se stessa, è una specie di cosa di base, non deve mai avere un significato speciale, va sempre bene esattamente come è, solo musica, certo ti può suggerire molti pensieri ed immagini... ma per me la musica è solo musica e non voglio spiegarla, non c'è nulla da spiegare. Precisamente non c'è nulla da dire sulla musica perché la musica parla da sola abbastanza chiaramente…” (intervista apparsa su Ciaojazz)

A parlare è un certo ESBJORN SVENSSON, svedese, astro nascente del panorama jazz.
Anche se definire “astro nascente” uno che con il suo trio ha gia inciso sei album compreso questo, mi sembra scorretto. Ma lo definisco così perché ancora troppo poca italica gente ne parla.
Vi dirò di più, scrivo questa recensione con nel cuore mio la triste certezza che alla metà di quelli che stanno leggendo non gliene fregherà nulla del disco e non lo ascolteranno mai (yes, this is jazz education in Italy, today) mentre l’altra metà non terminerà nemmeno la lettura. Perché il Jazz è (sigh!) visto come forma di “snob del musicista” e quindi scartato. Il Jazz è roba da “vecchi”, da malinconici e nostalgici.
Beh, io ho ventisette anni e mi esalto col Jazz. Se non volete ascoltare questo disco che è perla splendente in un mare di musica di merda, fate come vi pare. Se volete tapparvi il naso perché non riuscite ad odorare e gustare l’armonia con la quale il trio sviluppa canzoni lontane dallo stereotipo “tema-improvvisazione dello strumento A - ripresa del tema - improvvisazione dello strumento B - etc, etc.” io non posso certo venire lì da voi e picchiarvi! Fate come credete. Il mio compito è di assicurarvi che in questo disco c’è tutto il jazz contemporaneo.

Dall’attento ascolto del disco (io in verità ho avuto la fortuna di gustarmelo assieme ad un loro grande fan, il quale sa tutto, ma proprio tutto, del trio) si evince come il gruppo si sia ispirato per questo disco, oltrechè dai “soliti noti“ Duke Ellington, Charlie Parker, Count Basie, anche a gruppi quali E.L.P e, udite, udite, Radiohead! Non male per degli “snob della musica”…
In realtà non si vorrebbe in questa sede polemizzare troppo. Ritorno alla “classica” recensione.
Si possono trovare all’interno delle canzoni lontani accenni di musica ambient e classica (lo stesso autore ha dichiarato d’essersi ispirato alla tecnica compositiva della musica classica).

I tre svedesi non devono essere intesi come il tipico trio pianistico che ha già narrato tanto nella storia della musica (non solo jazz), svincolandosi dal confronto grazie alla ricerca raffinata e moderna di temi sviluppati con grande semplicità, evitando la proposizione del virtuosismo fine a se stesso. Non voglio nemmeno tentare di recuperare i punti in comune con gli altri due trio che sono sempre presi come metro di giudizio per questo tipo di musica, il trio di Brad Mehldau e, soprattutto, quello di Jarrett, giacché mi infastidisce che tutti debbano passare necessariamente attraverso il confronto con il divino Keith per ottenere formale riconoscimento della propria grandezza artistica.

Concludo ripetendo i miei auspici perché possiate assaporare della capacità creativa dello Jazz nord-europeo, un Jazz che forse sarà leggermente indigesto per gli amanti di quello di stampo più classico.

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