Siamo nell'estate del 1997.
La radio è pervasa da canzoni tipo "Drinking in L. A." dei Bran Van 3000 e "Closing time" dei Semisonic, il tormentone è "Solo una volta (o tutta la vita)" di Alex Britti, la sorpresa è "Quellochè" dei 99 Posse.
Ma sulle frequenze in onde medie si insinua qualcosa di nuovo, anzi d'antico: una ballata che accompagna le serate in riva al mare di un gruppo di allora quattordici-quindici-sedicenni alle prese con le prime cotte. È "When Susannah cries", terza traccia di questo album, opera di uno sconosciutissimo cantante norvegese.

I media si accorgono di lui, si vede in occasione di piccole ospitate. Su Cioè e compagnia bella i titoli urlano: "il Nek che viene dal freddo", ma per fortuna delle mie orecchie, col nanetto romagnolo ha in comune solo il colore degli occhi.
Questo "Red" (da me spasmodicamente cercato sul finire di quella bellissima estate)è sfacciatamente pop, ma senza dubbio di ottima e curata fattura.
Si apre con "Messing with me", chitarre ritmate, voce ben amalgamata con i coretti che non sa di "già sentito". Curiosa "Baby you're so cool", con un ritornello in falsetto che si fa ricordare. Scritto, prodotto e arrangiato da Espen stesso (un vero self-made man!) dimostra una notevole cura nei testi e nelle musiche e, pur essendo un classico prodotto per adolescenti, si lascia ascoltare anche da un altro pubblico, senza pretendere di porsi come una pietra miliare della musica mondiale.

Passa un pò troppo ingiustamente sotto silenzio, a parte quella manciata di passaggi sul fiume di lacrime che Susannah piange per il tradimento da parte del suo uomo, mentre invece ci sono un paio di pezzi che avrebbero meritato più di un ascolto e sicuramente maggiore pubblicità. Uno, a mio parere, è "Niki's theme", rarefatta ballad dedicata all'ex fidanzata (che compare anche nei credits come menzione speciale) dal testo "adorante" ("and if you said my eyes were beautiful that's cause they were looking at you") costruita quasi come un pezzo acustico, con una profusione di violini sotto una voce molto delicata. Chiude con "The Buffalo tapes (my so-called friends)", anche qui torna il falsetto (chiaramente il pezzo forte delle corde vocali di Espen) e il ritmo è si ritmato, ma blando, come a voler raccontare una storia prendendosi tutto il tempo per farlo, senza fretta.

Dopo questo disco (che rappresenta un esordio solo a livello europeo, dal momento che la carriera di Lind in patria era già avviata), il norvegese dagli occhi di ghiaccio scompare dalle radio e dalle charts nostrane, sostituito da altri bellocci che, di sicuro, sanno cantare e comporre molto meno di lui ma hanno avuto la fortuna di essere stati spinti da 1 management forse più agguerrito. Non scompare in patria, infatti continua a pubblicare, crescendo lavoro dopo lavoro, con collaborazioni, progetti paralleli e anche partecipazioni a soundtracks. Ricompare nel 2000 con "April", lavoro più maturo e sentito, ma questa... è un'altra rece.

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