Fa jazz. Suona il contrabbasso. Canta divinamente. E' di bella presenza.

Raccoglie universali consensi ampiamente giustificati dai due precedenti lavori, Junio (2006) ed Esperanza (2008). Tutto ciò predispone all'ascolto di Chamber Music Societ.
Ciliegina sulla torta, Esperanza mette in musica “The Fly” di William Blake (se cito “the doors of perception” viene in mente qualcosa?), in apertura con “Little Fly” (Non sono io - Una mosca come te - O non sei tu - Un uomo come me?).

L'album definito “intimo” e “lungamente meditato” dalla Spalding pare proprio esser stato concepito in un sito di bellezza raccolta, per un organico formato da un doppio trio jazz e d'archi, e negli stessi luoghi ci riporta con l'incanto dalla sua voce, protagonista assoluta nella drammaturgia di “Wild is the Wind”, seconda sola a Nina Simone (ubi maior) e con diverse lunghezze di vantaggio sul Duca Bianco. In “Inutil Paisagem” di Jobim l'interpretazione della faerie queene regge il confronto con quelle di Caetano Veloso o Elis Regina, e anche se si fa della stucchevole accademia afro-argentina con “Chacarera”, “Apple Blossom”, con Milton Nascimento trasmigratore di duetti, è un caso eclatante di iperbarricazione di eccellenze, con “Winter Sun” la topina Spalding (cito Odradek), lasciati gli archi in pausa pranzo, ritrova groove mood e jazz.

Esperanza Spalding è un talento, ne è cosciente, e per confermare dopo vent'anni di violino che sa com'è la liturgia della musica da camera, con l'arrangiamento di Gil Goldstein si affida a una raffinatezza programmatica, un po' ingessata: per un risultato che se “può causare arrapamento” al recensore di Rolling Stones rischia qua e là di inibire il satiro, annoiare il colto tetragono e disperdere il volgo.

Il punto di equilibrio di Chamber Music Society (sienteme, Esperanzuccia) andava posto tra la dinamica del primo Return to Forever (quello di “Sometime Ago”, “La Fiesta”) e la liricità di “Nocturne" di Charlie Haden, con la supervisione di ben altro Gil, e ora parleremmo di capolavoro: tuttavia il tempo gioca a favore della little charmer di Portland, “and gins to spread his leaf before the fair sunshine”.

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