Facciamo un bel giochino di parallelismi: è il 1984, Etienne Daho pubblica "La notte, la notte", Falco "Junge Roemer", per entrambi gli artisti si tratta del secondo LP, entrambi gli artisti sono mori, fighissimi e sex-symbols conclamati, Danny The Kid li adora entrambi e la prima canzone di entrambi gli album (nonchè singolo di traino in entrambi i casi) rievoca l'immaginario ormai completamente sbiadito della dolce vita romana, con tanto di inserti recitati in italiano. Beh, forse non siamo proprio ai livelli delle famigerate analogie Lincoln-Kennedy, ma si tratta comunque di affinità decisamente curiose e divertenti, valeva decisamente la pena menzionarle, ora però lasciamo da parte Falco, che c'entra veramente poco, e concentriamoci su Etienne. Di lui ne ho già parlato, però con un album recente, "Les chansons de L'innocence retrouvée", vediamo invece com'era nei suoi primi anni di carriera; raffronto decisamente interessante dato che ci troviamo di fronte ad un artista che, senza mai scomporsi troppo, è sempre riuscito ad evolversi, a proporre qualcosa di diverso album dopo album.

Pur essendo nato ed emerso negli eighties Etienne Daho ha dato il meglio di sè dagli anni '90 in poi secondo me, è uno di quelli che invecchiando migliora. Difatti, la sua produzione ottantiana dà quasi sempre l'impressione di essere limitata da qualcosa, l'esordio "Mythomane" è ancora molto acerbo, "Pop Satori" suona troppo standardizzato sui trend internazionali più in voga al momento e "Pour nous vies martiennes" alterna ottimi guizzi e passaggi a vuoto; "La notte, la notte" è un po' l'eccezione, qui Etienne azzecca praticamente quasi tutto dando vita a un album accattivante, di personalità e ottima classe. Dimenticate completamente le velleità noir del suo album più recente, qui siamo in presenza di un sound rilassato e sornione, synth pop come base di partenza ma anche qualche suggestione blue-eyed soul; "La notte, la notte" propone quindi sonorità classiche per quegli anni, con approccio sempre elegante e sempre in punta di fioretto, con quel leggero sentore glamour tipico di Etienne Daho. Un album leggero, ben strutturato e godibilissimo in ogni situazione, oltre che invecchiato molto bene, così come il suo autore.

Dunque, "Week-end a Rome", ovvero l'arte di creare il singolo giusto unendo il sound dominante del momento (una base synth minimale e molto accattivante) a raffinatezze e suggestioni vintage, la voce vellutata e rilassatissima di Etienne è quantomai calzante per un pezzo sognante e sensuale ma soprattutto carico di un'irresistibile nonchalance. Un'alchimia vincente, che viene riproposta anche in altri pezzi forti del disco, ad esempio "Le grand sommeil", atmosfera trasognata, un bel giro di basso e un'elettronica avvolgente, molto all'avanguardia per quei tempi, il tutto al servizio di una melodia fresca, piacevole e stilosa, ben sottolineata da un assolo di sax sul finale; oppure "Et si je m'en vais avant toi", un impeccabile lento d'atmosfera, sound setoso, garbato, a lume di candela e una voce che si esprime nel contesto più ideale possibile, con echi e sfumature ad aumentarne ulteriormente il fascino. Canzoni che appagano, rilassano e fanno stare bene; sono i primi guizzi di una Popstar di gran classe, che con questo album definisce una sua cifra stilistica, e idealmente anche una "via francese" del pop radiofonico di qualità di quegli anni.

E le note positive non finiscono qui, "La notte, la notte" ha dalla sua anche un range stilistico sorprendentemente ampio, lo si capisce da due pezzi che pure hanno in comune un sound 100% synth, di cui ED ha saputo sfruttare al massimo le potenzialità espressive, spaziando dall'atmosfera indolente e quasi minimalista di un'orientaleggiante "Signé Kiko" alla brillantezza sbarazzina e cabarettistica di "Poppy Gene Tierney", in cui la sempre affascinante voce di Etienne è affiancata da un controcanto femminile. Questo particolare trademark viene ripreso anche in due ballads da vero galantuomo, la romanticissima "Promesses" e "Laisse tomber le jaloux", sussurrata con uno charme incredibile. Con "Saint-Lunaire, dimanche matin" si chiude in grande stile, ancora sussurrando, Etienne sa sussurrare divinamente; e ancora si sogna, un walzerino lento, quasi surreale, anche qui un uso creativo e brillante dei synths. Bellissimo.

Che dire infine, beh, direi che un bel très charmant riassume perfettamente il tutto. Album praticamente impeccabile, sound, canzoni, voce, personalità, copertina, non manca niente. Ci vorrà qualche anno per risentire un Etienne Daho così ispirato; il successivo "Pop Satori", pur non essendo un brutto disco in senso assoluto, in confronto risulterà molto deludente, specialmente dal punto di vista dell'originalità e della ricchezza del sound. Poco male, col tempo la classe riemergerà pienamente, e comunque "Il vento nei capelli, caro, accelera e alza la radio, mmmh, la notte, la notte, mmmmh, la notte la notte...", non so se mi spiego. Dispiace unicamente che un artista del suo calibro non abbia ottenuto, neanche estemporaneamente, una vera notorietà anche fuori dai confini francesi. L'avrebbe meritata assolutamente, è un grande, brillantissimo, moderno e stiloso chansonnier, un vero numero uno.


Carico i commenti...  con calma