Vorrei segnalare questo film del 1976, diretto da Ettore Scola e premio per la miglior regia al 29° Festival di Cannes.
Ambientato nella periferia romana degli anni settanta a quanto dice Wiki, offre uno spietato spaccato della vita di una famiglia (?) che mira a superare il record di sovraffollamento in quattro mura (?). Una serie di personaggi facilmente scambiabili per membri della famiglia Addams condivide una muta condanna azzuffandosi e riproducendosi, accomunati da una presunta paternità nelle vesti di Giacinto, capofamiglia interpretato da Nino Manredi.
Ora, sarà che nutro per Manfredi una grande ammirazione, ma difficile negare che in questo come in altri film egli abbia saputo attribuire al suo personaggio un'umanità e un'intensità non comune (e dire che l'avevo conosciuto nell'ascensore di "Grandi magazzini"....)
L'obiettivo si posa quasi con delicatezza su una realtà incapace di ricambiare la cortesia, marcia e putrida e al contempo così autentica da entrare sotto pelle. Le parecchie forzature non riescono a sminuire la brutalità che la pellicola trasuda, in ogni gesto, in ogni parola. L'insistenza sui particolari, gli ambienti claustrofobici, un'indifferenza e un abbruttimento che vengono coltivati fin dall'infanzia, con costanza quotidiana e senza redenzione.
Gli odori sono reali, i colori assenti. Si finisce il film e si sente il bisogno di farsi una doccia.
Ci è poco da salvare nell'umanità descritta da Scola, da affogare come topi in una latrina che non conosce fondo.
Beh, se anche questa era (o è) l'Italia, ben venga che non ci siano più registi e interpreti capaci di metterci la realtà sotto il naso.
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