Stupisce il fatto che, navigando in rete, si trovino così poche informazioni, ma soprattutto (clamoroso), alcun’analisi critica del quarto album di Eugenio Finardi, Blitz, pubblicato per la Cramps nel 1978 e suonato dai Crisalide. Eppure stiamo parlando dell’album che contiene la celebre Extraterrestre, parabola fantascientifica sull’egoistico tentativo di crearsi una migliore condizione esistenziale, un’arroganza individualista che però alla fine sfocia nel pentimento e nella coscienza della propria solitudine, scaturita dalle azioni commesse con tanta impulsività. E dal “pianeta sconosciuto” dove il protagonista saggia la mesta morale della sua vicenda, da quel punto imprecisato dello spazio nel quale egli è stato confinato, per sua richiesta, dalle stesse entità sovrumane che sembrano averlo destinato ad uno sciagurato esilio, si torna di colpo sulla Terra, all’interno di un abitazione domestica, dove l’ascoltatore s’insinua nell’intimità coniugale dei protagonisti di Come un Animale, delicata ballad pianistica con un testo che alterna dolcezza a modi quasi glam: “è che stasera voglio solo/ fare l’amore come un animale/ voglio fare l’amore fino a che fa male/ voglio fare l’amore…”

A questo punto si esce all’esterno, si arriva sulla strada, o meglio, in città, mentre irrompono le scoppiettanti note di Drop Out Rock, brano in inglese che il mitico “signor G” avrebbe identificato come “rock’n’roll metropolitano”. E da questo connubio di grattaceli, palazzi, ponti e metro sospese, schermi giganti che fanno capolino dai possenti edifici, file di luci che fiancheggiano ampie carreggiate a più corsie; da tutto questo deflagrante trambusto…un canale solingo, una panchina incastonata alle spalle d’un sentiero pedonale. L’ascoltatore si accomoda e prende fiato mentre germogliano pacatamente le soavi percussioni di Affetto, pronta a mostrarci la sua introspettiva successione tra compiacimento e polemica. Da questo gradevole scambio di convenevoli fra pop e psichedelia, giunge dunque un canto rilassato che nel raccontare situazioni gradevoli, disegna prorompenti toni di protesta: “mi piace pensare e analizzare/ scegliere una musica con cui giocare / prendo una melodia cerco un’armonia/ ci costruisco sopra la mia idea/ e non mi piacciono i martiri né i profeti/ mi prendon male i furbi e i preti/ tutta gente che ha paura di fare e si permette anche di giudicare…”

Da questa mistura di discrepanti riflessioni, ecco giungere un cocente cono di luce solare che accecando il nostro sguardo ci conduce in un altro mondo, che viene abbozzato dal solito intruglio di percussioni, unito ad una coinvolgente melodia sudamericana (quasi reggae), al fine di descriverci Cuba, sottoforma del suo grande impegno sociale. “Forse è vero che a Cuba non c’è il paradiso/ che non vorremmo essere in Cina a/ coltivare riso/ che sempre più spesso ci si trova a dubitare/ se in questi anni non abbiamo fatto altro/ che sognare. È che viviamo in un momento di riflusso/ e ci sembra che ci stia crollando il mondo/ addosso/ che tutto quel cantare sul cambiar la/ situazione/ non sia stato che un sogno o un’illusione…”

Le risolute note dell’organo spengono di colpo il sole dell’America Latina quando un adrenalinico arpeggio, scortato dal nervoso incedere del basso e dalle maestose note del violino (suonato da Lucio Fabbri), attuano il più indovinato degl’accompagnamenti per introdurre la prossima vicenda sonora, sospesa tra coraggio e tragedia: Op. 29 in do maggiore, elogia le classi inferiori, ne giustifica le azioni avventate. Parla di un giovane laureando in crisi economica, costretto ad improvvisarsi ladro solo perché il potere non ha voluto concedergli un lavoro per mantenersi gli studi. Alla fine finirà in prigione, e i giornali infangheranno la sua reputazione, additandolo come un predestinato furfante, ignorando perciò la vera ragione che l’aveva spinto ad una tale scelta di vita. Insomma, un pezzo che sembra l’acre ritratto di una datata profezia destinata a concretarsi proprio nei giorni nostri, mediante quell’entità malvagia chiamata disoccupazione, ormai stagliata in tutta la nostra penisola, e pronta a sopprimere le classi inferiori condannandole a mantenersi spudoratamente con la delinquenza (come il protagonista del pezzo), sebbene più spesso le punisca addirittura con la morte (pensando ai disperati suicidi che spesso appaiono sulle pagine dei giornali). Parlando invece della musica, Op 29 in do maggiore è il pezzo che loda maggiormente le doti dei Crisalide, soprattutto nei tre minuti dello strumentale finale: un fantastico sprazzo di sano rock progressivo, seppur eseguito in maniera meno ricercata rispetto ai classici stilemi del genere, peraltro molto in voga in quel periodo.

Nel lento sfumare di questo clima d’amarezza e comprensione, l’autore sembra acquistare l’umore giusto per parlarci di sé. Northampton, Genn.’78 si apre infatti col verso “oggi ho conosciuto mio padre” prova d’un Finardi lucido e consapevole, che si prepara a riesumare la sua adolescenza per capire le ragioni del suo difficile rapporto col padre, un affetto gelato dalla mancanza di dialogo che ha costretto un figlio a lottare solo contro i suoi “problemi” (parola chiave forse riferita ai problemi che Eugenio ebbe con la droga, peraltro già citati in Scimmia, brano che chiudeva l’album Diesel del 1977). In questo caso però siamo lontani dalla tragicità di quel testo e dal rock melodico che lo animava: un soave arrangiamento sinfonico affidato unicamente alle tastiere, così da ricreare un’aria malinconica e intimista, sulla quale l’autore trova il tempo per un’autoanalisi che lo porterà a non commiserare il suo passato e a vivere l’età adulta con maggior sicurezza. È un brano di soli due minuti: centoventi secondi di maturità spontanea e di profonda semplicità, prima che Mauro Spina pesti sui piatti della sua batteria per introdurre una cavalcata al basso di Stefano Cerri, mentre il reparto ritmico inaugura l’ultimo rock del disco, del quale basterebbe citare soltanto il verso “guerra lampo alle false illusioni/ a chi spacca i coglioni” per ravvisare una decisa virata verso un testo combattivo, incastonato nel pezzo mediante un’interpretazione vocale più rude e decisa. E quando i Crisalide si apprestano a chiudere l’album con l’ultimo energico strumentale, l’ascoltatore si alza dalla panchina, e si avvia verso l’uscita di quella savia metropoli che l’autore ha costruito per lui; procede verso il mondo reale che rimane purtroppo non molto diverso dalla dimensione saggiata in questo malinconico, arrabbiato, frustrato ed affascinante viaggio sonoro.

Con questo convincente Blitz, Finardi avvia una lenta trasformazione stilistica dal rock al pop, che proseguirà con l’altrettanto efficace Roccando rollando, e poi con Finardi, album ancora aggressivo, ma ornato di quei pomposi campionamenti che poi piloteranno il notturno e raffinato Dal Blu, album quasi totalmente affidato alla musica elettronica.

Canzoni:

1. Extraterrestre

2. Come un animale

3. Droup Out Rock

4. Affetto

5. Cuba

6. Op. 29 in do maggiore

7. Northampton, Genn. ‘78

8 Guerra Lampo

Musicisti:

Eugenio Finardi: Voce

Lucio Fabbri: Violino

Arrangiamenti fiati: Claudio Pascoli

Arrangiamenti archi: Claudio Fabi

I Crisalide:

Stefano Cerri: basso

Ernesto Vitolo: piano elettrico, piano fender, organo

Mauro Spina: batteria

Luciano Ninzatti: chitarre

Mauro Preti: percussioni

Federico “Dragonstar” Passarella.
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