Primo dei quattro progetti sperimentali e di nicchia di Eugenio Finardi, O Fado è un lavoro sorprendente, sufficiente e dove il rocker è affiancato da Francesco Di Giacomo del BMS, dal fadista Marco Poeta alla chitarra portoghese e dalla voce di Elisa Ridolfi, che stranamente non appare nei nomi di copertina.
L'album è una riproposizione di classici del genere, alcuni tradotti in italiano, asciutto ed equilibrato, con 18 tracce per 57 minuti, quindi poco più di tre minuti a brano, oltre a seguire una alternanza pressoché regolare degli artisti.
La sequenza Eugenio-Francesco-Elisa-Marco (strumentale) viene rispettata due volte di fila così come la sequenza Eugenio-Francesco-Marco (strumentale). Negli ultimi quattro pezzi la sequenza è Elisa-Francesco-Marco (strumentale)-Eugenio.
Sostanzialmente il Fado è un genere che si muove sull'alternanza Do maggiore Sol 7, con qualche occorrenza del Re minore o della sua relativa Fa maggiore, e del La minore. I brani risultano quindi molto coesi.
Eugenio canta la buona "Le ragazze di Terceira", ovvero "le arance più succose"; "Le cinque pietre", che nel testo sono nella mano; "La mia canzone è saudade", dove si riscontrano echi di "Alberto" del collega e amico Camerini; in "Fado Lisboeta", malinconica e con grande interpretazione; e nella conclusiva "Non è disgrazia essere povero", con lievi interventi di Francesco Di Giacomo. Da segnalare la versione strumentale di "Piazza grande" di Lucio Dalla.
Tuttavia O Fado sorprende ma non convince. Sorprende perché si è riusciti a fare un disco SUL Fado, episodio unico e meritevole di attenzione, ma non convince perché non si è riusciti a fare un disco DI Fado, in quanto la saudade, quel sentimento intradudicile veramente in italiano, risulta intraducibile veramente anche nell'esecuzione musicale, al di fuori di contesti portoghesi. Infatti il canto trasmette allegria, ma snatura la rabbia e la disperazione dei quartieri disgraziati che sono alla base di questa espressione musicale.

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