"Fibrillante" di Eugenio Finardi, prodotto da Max Casacci dei Subsonica, è un disco di inediti (da tempo il cantautore milanese non ne sfornava uno) ricco di cantautorato vero. Qui c'è un'anima che confida al mondo - in un flusso ininterrotto di coscienza - tanto il sè ("Aspettando", "Fibrillante", "ForteFragile") quanto i suoi pensieri riguardo all'"altro da sè" ("Come Savonarola", "La storia di Franco", "Moderato"). Facendolo con la naturalezza con cui può farlo solo chi certi pensieri li ha sempre avuti e non chi - di esempi anche recentissimi ve ne sono - li prende in considerazione studiando a tavolino il modo migliore per strizzar l'occhio ad un'attualità da instant book.
Quelli che mi convincono meno in tale contesto sono i testi di "Cadere sognare" (la vicenda narrata mi ricorda assai da vicino quella narrata ne "Il Bonzo", strepitoso brano di Enzo Jannacci targato 1975; qui però manca totalmente il senso della satira irriverente e mordace che permeava quel pezzo, così da scivolare in un eccesso di lamentosità rancorosa) e di "Me ne vado" (una sorta di parlato-cantato un po' retorico in stile telegiornalistico sulla crisi economica mondiale e sulla crescente forbice reddituale tra poveri e ricchi. Che bello, però, il delicato minimalismo musicale dell'incipit che all'improvviso sboccia, seppur per breve tempo, in una superba session di jazz alla "Diesel"!).
In questa mia opinione, non lo nego, sono forse condizionata dal fatto che - dopo troppe canzoni eccessivamente "sociali" ed "impegnate" ascoltate negli anni '70 da ragazzina - questo tipo d'invettiva, pur certamente sincera e sentita nel caso di Finardi (uno che già a poco più di 20 anni ne seppe scrivere di memorabili), lo trovo quasi uno "spreco" di poeticità, di immaginario, di capacità narrativo-evocativa; doti che l'Eugenio possiede senz'altro e che qui scintillano, ad esempio, in un brano umano e toccante come "Lei s'illumina".
Finardi lo amai subito alle medie con "Sugo" e "Diesel", comprati in LP quando uscirono con la gloriosa etichetta Cramps Records e letteralmente consumati. E se non guardi quel volto barbuto e policromo, un po' da guru bonario, che spicca in copertina non riesci poi tanto bene a captarla la differenza fra il ragazzo d'allora e l'ultrasessantenne d'oggi: l'agile, inconfondibile voce è inalterata; un certo gusto per arrangiamenti asciutti e nervosi (coltivato al massimo grado in "Come Savonarola" e nella title track) torna prepotentemente a galla dopo anni passati a sperimentare modalità espressive tutt'affatto diverse e molto amate, dal fado al blues.
Trovo particolarmente riuscita e coinvolgente "Le donne piangono in macchina", canzone che dopo "Lei s'illumina" tratteggia un altro commovente ritratto femminile - stavolta collettivo e non individuale - dolce, generoso e sì, femminista (nel senso migliore del termine), un po' nel solco della sua memorabile "Un uomo". Del resto qui l'uomo Finardi come pochi artisti della nostra musica leggera si dimostra ancora una volta capace di capirle veramente, all'occorrenza, le donne.
Al netto di quei piccoli cedimenti social-retorici di cui sopra si è detto resta fra le mani un bell'album denso, da ascoltare e riascoltare con quel gusto dell'andare a fondo di ogni singola canzone che solo il cantautorato vero sa dare.
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